IL LIBANO: UN PAESE IN BILICO
– di Dagoberto Bellucci
Stretto tra le manifestazioni popolari che hanno scombussolato da mesi i diversi paesi arabi, vicinissimo alle tensioni che agitano la Siria e a un tiro di schioppo dalle velleità di rivalsa del nemico sionista che alla sua frontiera meridionale potrebbe rapidamente riaprire la ‘partita’ contro la Resistenza Nazionale dopo l’aggressione di cinque anni fa; il Libano si trova ad un bivio – uno dei tanti – della sua storia recente e, per fronteggiare i nuovi problemi e tenere a bada mai sopite strategie di normalizzazione provenienti essenzialmente dall’esterno, i libanesi dovranno raccapezzarsi con una situazione anomala che li vede principale ago della bilancia dei rapporti di forza tra l’autentica anima rivoluzionaria d’ispirazione nazionalista e panaraba (esemplarmente rappresentata da Hizb’Allah e dai suoi alleati di governo) che ha caratterizzato la storia del Vicino Oriente fin dalla costituzione in “stato” dell’entità criminale sionista ed il fronte filo-occidentale che , nel paese dei cedri, ruota attorno alla famiglia Hariri ed al suo partito Corrente Futura.
La ‘battaglia’ politica che si giocherà nelle prossime settimane in Libano potrebbe difatti avere ripercussioni inevitabili per tutta la scena geopolitica della regione: è da quanto accadrà in terra libanese che si potrà comprendere se la spinta sovversiva della destabilizzazione “made in USA”, che ha contagiato gran parte del mondo arabo e provocato dinamiche conflittuali nella confinante Siria, porterà ad un nuovo calvario per il paese dei cedri oppure se, una volta di più, i libanesi sapranno rifiutare le logiche della sedizione rinunciando ad aprire pericolosi scenari da guerra civile.
Fino ad oggi il paese è stato oggetto delle attenzioni degli Stati Uniti e delle mire militari sioniste rifiutando categoricamente di finire nella logica del “tutti contro tutti” che ha contrassegnato la storia recente della contrapposizione etnico-confessionale dell’Irak; domani quelle che finora sono state raccomandazioni e buoni propositi potrebbero non esser più sufficienti qualora da Washington si decida di accelerare i tempi portando anche il Libano nel caos di un conflitto civile generalizzato e gli elementi perché ciò possa accadere nel miscuglio etnico e tra le diciotto confessioni religiose che esistono nel paese è tutt’altro che un’ipotesi così remota.
Dopo cinque mesi di trattative estenuanti, contrattazioni fra i partiti e bracci di ferro tra opposte fazioni il premier designato Najib Mikati ha annunciato lo scorso 14 giugno la formazione del nuovo esecutivo nazionale all’interno del quale Hizb’Allah e i suoi alleati hanno la maggioranza dei ministeri: sedici sui trenta complessivi contro i dieci detenuti dal movimento sciita filo-iraniano nel precedente governo retto da Sa’ad Hariri con il quale gli uomini di Nasrallah sono venuti ai ferri corti sulla questione del riconoscimento e della legittimità delle decisioni che saranno prese dal Tribunale Speciale per il Libano entità giuridica sovranazionale istituita dalle Nazioni Unite che intende spogliare della sovranità giuridica la nazione libanese.
Una delle prime dichiarazioni rilasciate dal nuovo premier è stata quella che confermava gli impegni presi dal precedente esecutivo rispetto all’istituzione del Tribunale Speciale che deve emettere a giorni la sentenza sui crimini politici commessi nel paese dalla strage di San Valentino del2005 aoggi.
La pagina giudiziaria che riguarda l’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri, assassinato nel cuore della capitale sei anni e mezzo fa, rappresenta uno dei principali motivi di contrasto che divide e lacera la politica nazionale: è quanto emergerà dalle decisioni sull’affaire Hariri che può o meno cambiare alleanze politiche e assetti di potere interni e la sentenza – attesa per settembre – non farà altro che scombussolare le carte in tavola in una o nell’altra direzione, pro o contro l’una o l’altra fazione politica di quel bipolarismo imperfetto che ha, di fatto, diviso fin dalla primavera 2005 l’intero paese.
Di quella strage e delle successive che insanguinarono il paese nei mesi seguenti furono accusati fin dall’inizio il potente vicino siriano, poi alcuni generali legati agli apparati d’intelligence di Damasco (infine rilasciati e riconosciuti innocenti) e, da ultimo, non più di un anno fa alcuni appartenenti al Partito di Dio che si dice estraneo ad ogni accusa e vittima di un complotto sionista per fomentare disordini e divisioni.
Hizb’Allah fin dall’inizio di quella stagione delle bombe e di quel periodo (marzo-maggio 2005) che rimase impresso e venne rappresentato nei titoli giornalistici e sui media di mezzo mondo come “la primavera dei cedri” si disse assolutamente certo che dietro la mano assassina che aveva sparso terrore e morte in Libano si celasse il Mossad israeliano.
Oggi potrebbero essere alcuni appartenenti al partito di Sayyed Hassan Nasrallah a dover rispondere per quelle stesse accuse che, di volta in volta, gli organismi internazionali hanno cercato di addebitare alla Siria di Assad o ai suoi agenti operativi in Libano anche dopo il ritiro del contingente militare.
Normalizzata la situazione diplomatica e politica tra il governo di Beirut ed il suo omologo siriano l’attenzione del Tribunale Speciale per il Libano (TSL) pare concentrarsi contro Hizb’Allah alla ‘cerca’ di un capro espiatorio rispondente ai desiderata atlantico-sionisti.
Funzionari libanesi avrebbero riferito che a breve il TSL emetterà gli atti d’accusa contro esponenti del partito sciita; uno scenario che apre inquietanti interrogativi per tutta la politica libanese e mediorientale.
Già le accuse contro membri di Hizb’Allah avevano portato alla caduta del governo Hariri lo scorso gennaio, le incriminazioni finora rimaste segrete sarebbero state modificate, riviste e correte almeno un paio di volte da allora mentre lo stesso giudice del TSL starebbe valutando il rapporto conclusivo per capire se le indagini preliminari abbiano realmente prodotto delle prove sufficienti per arrivare ad un processo che, se non ci saranno colpi di scena dell’ultima ora, porterebbe sul banco degli imputati esponenti del principale partito che sostiene il nuovo esecutivo e rappresenta gli interessi iraniani nel paese oltre ad essere l’ala politica della Resistenza Islamica che negli ultimi trent’anni si è fieramente opposta a “Israele” perseguendo l’obiettivo, nella primavera 2000, di liberare le regioni meridionali.
Secondo quanto ha riportato il quotidiano “Asharq al Awsat” da Londra sarebbero almeno cinque gli esponenti del Partito di Dio che rischiano l’incriminazione mentre fonti ufficiali avrebbero confermato che i giudici libanesi che fanno parte del TSL avrebbero già abbandonato per sicurezza il paese. I media locali hanno confermato quest’ultima indiscrezione motivandola come mossa precauzionale necessaria ad assicurare loro la massima sicurezza.
Il Segretario Generale di Hizb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah, che per primo aveva riferito, l’estate scorsa, di queste accuse contro esponenti del suo partito ha sottolineato anche recentemente l’assoluta estraneità del movimento sostenendo che dietro al tribunale internazionale si muovono elementi del sionismo e interessi stranieri – in particolare americani – che mirano esclusivamente a delegittimare con un procedimento penale il movimento della Resistenza e puntare a destabilizzare il paese.
Secondo Nasrallah il TSL sarebbe uno strumento nelle mani d’ “Israele” per fomentare la sedizione.
In questa situazione il Libano guarda con estrema preoccupazione a ciò che potrebbe scaturire nei prossimi giorni o settimane quando le incriminazioni verranno rese infine pubbliche.
Abituato a navigare a vista, stretto tra i suoi pluridecennali problemi di convivenza pacifica tra etnie e confessioni religiose, preda di una crisi economica che ha fortemente indebolito la sua attrattiva dei capitali finanziari esteri il Libano si interroga una volta di più sul suo futuro: niente “primavera araba” da queste parti, niente “rivoluzioni” più o meno ‘colorate’, niente sussulti ma una tensione tagliente che si percepisce nettamente e che non ha mai realmente abbandonato questo staterello di quattro milioni di abitanti stretto tra i conflitti regionali che oppongono l’America ed i sionisti all’asse siro-iraniano e le mai dimenticate beghe locali dei ‘clan’ etnici e confessionali che dal 1975 al 1990 portarono il paese al centro di un conflitto civile lungo, cruento e particolarmente feroce che costò oltre 200mila vittime, interventi militari multinazionali, aggressioni israeliane e produsse infine la pax siriana degli accordi di Taif firmati per smantellare le milizie paramilitari in Arabia Saudita.
Una democrazia confessionale che si regge su un delicatissimo e complicatissimo rapporto di forza tra cristiani, musulmani sunniti, sciiti e drusi, che ha meccanismi di potere istituzionali creati all’indomani della fine del protettorato francese per mantenere più o meno inattaccabile l’egemonia della comunità cristiano-maronita rispetto alle altre e non ultima la recentissima contrapposizione che da quella primavera 2005 ha opposto i partiti nazionalisti che sostengono la Resistenza (a cominciare dal blocco sciita di Hizb’Allah ed Haraqat ‘Amal passando per il Partito Comunista Libanese, i laici nazionalisti del cristiano Gen. Michel Aoun, il suo collega Souleiman Franje del movimento Marada, i socialisti nazionali siriani e la locale sezione del Ba’ath) al raggruppamento filo-occidentale che ha in Sa’ad Hariri e nel suo movimento Corrente Futura il principale vettore sostenuto dagli estremisti cristiani della Falange di Gemayel e dai sostenitori dell’ex criminale Samir Geagea raccolti nel partito delle Forze Libanesi.
Ago della bilancia dei giochi politici e della contesa libanese si è dimostrato il vecchio “marpione” ed ex signore della guerra Waleed Jumblatt che con il suo Partito Socialista Progressista dopo aver sfidato Damasco e criticato per anni Hizb’Allah accusandolo di aver provocato l’aggressione sionista contro il paese nell’estate di cinque anni fa ha virato di 360 gradi finendo per sostenere le ragioni della Resistenza.
L’ennesimo capitolo della contorta politica libanese potrebbe aprirsi con l’adozione di una nuova legge elettorale prevista dal neonato governo Miqati. In cosa consisterà ancora non si sa, ma le parole “rappresentazione proporzionale” non fanno certo presagire una stagione tranquilla.
Il bipolarismo non è una tendenza tutta occidentale: anche il Libano, suo malgrado e malgrado regga il concetto di “democrazia confessionale” che inevitabilmente pesa al momento del voto, lo adotta sebbene di malavoglia ad ogni tornata elettorale e questo meccanismo ha prodotto coalizioni spesso conflittuali e inverosimili come quando, nel giugno 2005, lanciò un governo, quello presieduto da Fouad Siniora, che raccoglieva tutto il ‘fronte’ filo-occidentale (i sunniti di Hariri, il PSP di Jumblatt, i due partiti falangisti di Gemayel e Geagea) al fianco del “blocco sciita” di Hizb’Allah e ‘Amal vittorioso nelle circoscrizioni meridionali e in quelle della Beka’a settentrionale.
Attraverso i giochi di potere delle maxicoalizioni partitiche , sempre più complesse e litigiose, che cambiano come cambia il vento o meglio come cambiano le condizioni regionali, il paese è fortemente influenzato da tutto quanto avviene attorno a sé finendo per subliminare spesso le paure e le angosce di tutto il Vicino Oriente.
In Libano le coalizioni politiche stesse prendono curiosamente il nome del giorno in cui si sono ufficialmente riunite e formate. C’è quella del 14 Marzo per i cosiddetti filo-occidentali, che annoverano tra le loro fila i sunniti della Corrente Futura, guidata dal figlio del presidente del consiglio Rafiq Hariri assassinato a Beirut nel 2005, al fianco della quale si è riunita una nuova “sinistra democratica” (da qualcuno ironicamente e legittimamente ribattezzata “sinistra americana”) e i diversi partiti cristiano-maroniti, retaggi delle milizie falangiste della lunga guerra civile che ha insanguinato il paese per 15 anni (1975-90). Dietro Hariri ed i suoi alleati si profila la lunga ombra dell’America e del suo potente vicino saudita che non ha mai abbandonato la famiglia del multimiliardario Hariri che rappresenta la ‘carta libanese’: una ‘carta’ troppo importante per essere facilmente abbandonata da Riad che ha, nel paese dei cedri, ingentissimi capitali investiti in infrastrutture di ogni genere e nel sistema finanziario e bancario locale.
L’altra coalizione è quella dell’8 Marzo che sostiene la Resistenza ed il suo diritto a mantenere alta la guardia ai confini meridionali minacciati da “Israele”. Un raggruppamento come già detto eterogeneo creato dal partito sciita di Hizb’Allah per evitare il caos di un conflitto civile e mantenere il paese nell’orbita d’influenza iraniana anche perché le mire sioniste e statunitensi sull’intera regione dopo l’11 settembre 2001 erano chiare e noto l’obiettivo di colpire Teheran ed i suoi alleati.
A livello parlamentare il raggruppamento nazionalista ha la maggioranza grazie proprio all’appoggio dei deputati espressi dal PSP del druso Jumblatt. Anche i meccanismi di potere della democrazia confessionale libanese comunque andrebbero rivisti: l’ultimo censimento risale al 1932 – dodici anni prima dell’indipendenza nazionale – ed è su quella base che ancora oggi i 128 seggi parlamentari dell’Assemblea Nazionale sono ripartiti equamente tra cristiani e musulmani.
Ora se si considera che a causa delle diverse emigrazioni, del cruento conflitto civile che di fatto mise fine alle speranze dell’estrema destra cristiano-maronita della Falange di dare vita ad un’entità statale denominata Marunistan da posizionarsi ai confini con la Palestina occupata al lato di “Israele” e del peso demografico fatto registrare negli ultimi settant’anni dalla comunità islamica è evidente che quel censimento non abbia alcun valore in una nazione dove i cristiani attualmente non rappresentano che un 30% dell’intera popolazione mentre è proporzionalmente aumentato il numero dei musulmani. Nel parlamento di Beirut in barba alla logica ed alla matematica siedono 64 deputati cristiani ed altrettanti musulmani e questo pare essere uno dei pochi dati indiscutibili che da decenni darebbe un ‘senso’ alla politica libanese.
Il sistema confessionale della democrazia settaria rimane dunque in piedi e sarà abbastanza significativo ciò che realmente il nuovo governo Mikati proverà ad adottare come nuova legge elettorale considerando che sono decine e decine le leggi elettorali introdotte nel paese per mantenere questo equilibrio fra i diversi interessi contrapposti.
Mikati è più un tecnico che non un vero e proprio politico: multimiliardario è stato per anni uno dei più validi antagonisti dello strapotere esercitato all’interno della comunità sunnita dalla famiglia Hariri.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di adottare un criterio ed una nuova legge elettorale che non abbiano come riferimento il settarismo confessionale, vera e propria spina nel fianco di tutti gli esecutivi che, nel passato più o meno prossimo, hanno tentato di modernizzare il paese. Gli elementi in suo favore sono, al momento, la maggioranza piuttosto relativa che lo sostiene e l’entusiasmo con il quale sembra essersi messo all’opera concentrando immediatamente i suoi sforzi su una politica riformista che provi a rilanciare la disastrata economia del paese, il commercio, gli affari e soprattutto attrarre nuovamente gli investimenti stranieri.
Nella storia libanese due sono state le leggi elettorali realmente determinanti: quella adottata nel 1960 che riconosce 26 kaza (circoscrizioni elettorali) e che è stata ri-adottata in occasione delle ultime elezioni del giugno 2009. La seconda, per importanza, è quella che risale invece all’anno 2000, quando ancorala Siriaoccupava con un suo contingente militare il paese, stabilita da un esecutivo pro-siriano che divise il Libano elettoralmente in 14 macro-circoscrizioni.
La posta in palio – a seconda di quale legge elettorale si adotterà in futuro – è alta: è infatti a seconda del numero delle circoscrizioni che si decide l’esito del voto in un paese così profondamente lacerato da conflitti e divisioni etniche e confessionali.
La questione relativa all’adozione di una nuova legge elettorale sarà determinante gli esiti politici delle prossime legislative, previste per il 2013, che vedono Hizb’Allah interessato – assieme ai suoi alleati – a mantenersi parte attiva del processo di rinnovamento della scena politica nazionale.
I meccanismi elettorali fino ad oggi utilizzati si sono dimostrati insufficienti a garantire una reale rappresentatività di tutte le forze politiche come ha lucidamente posto in evidenza in un suo articolo Giorgia Grifoni che scrive: “Nello specifico, grandi o piccole circoscrizioni fanno la differenza. In alcune di esse, come Beirut 3, i seggi sono ripartiti tra molte comunità. Altre circoscrizioni, più uniformi nel credo religioso e meno popolate, come quella di Bint Jbeil, hanno molto meno peso decisionale. Gli elettori devono votare sì per i candidati della loro confessione, ma anche per quelli delle altre presenti nella circoscrizione. Ed ecco che in una circoscrizione a maggioranza sunnita come Beirut 3, gli elettori voteranno per i candidati maroniti della coalizione del 14 marzo, non per quelli dell’8 marzo. E se il candidato druso, per assurdo, non prendesse neanche un voto, vincerebbe comunque: perché un seggio gli spetta di diritto. Ali el-Samad, politologo, spiega in un suo articolo come ogni confessione cerchi di adottare la legge elettorale che gli garantisca una maggiore rappresentatività: “ Per i cristiani, la piccola circoscrizione offre la possibilità di eleggere i propri deputati e di marginalizzare così l’intervento della comunità musulmana. Per quanto riguarda i musulmani, essi sono presenti in quasi tutte le regioni e, grazie alla loro superiorità demografica, sono favorevoli sia alla piccola circoscrizione (i sunniti), che alla circoscrizione elettorale unica in tutto il territorio(gli sciiti)”. Tutto questo è ovviamente condizionato dai giochi di potere esistenti. “Dagli accordi di Ta’if –continua el-Samad- il Libano è stato sotto il controllo siriano. I codici elettorali adottati in quel periodo avevano come obiettivo quello di sostenere ed eleggere i candidati lealisti appartenenti al clan pro-siriano. La legge detta Ghazi Kanaan (capo dei servizi segreti siriani in Libano), promulgata nel 1996 in vista delle elezioni legislative di agosto 2000, aveva un solo obiettivo: la consolidazione della presenza siriana in Libano attraverso l’elezione dei suoi deputati e il tentativo di eliminare l’opposizione in maggioranza maronita. Quindi il Libano fu tagliuzzato in 14 circoscrizioni territoriali che non rispettavano né la realtà politica, né le logiche geografiche e sociali”. Con la vittoria del fronte anti-siriano alle elezioni del 2005, si è tornati alla vecchia legge del 1960, che divide il territorio in circoscrizioni più piccole e dà la possibilità alla minoranza cristiana di rappresentare i suoi elettori.” (1)
In attesa di conoscere quali saranno i provvedimenti in materia di legge elettorale che intenderà adottare il nuovo esecutivo Miqati i libanesi devono fronteggiare l’eventualità che il clima di apparente calma che regna nel paese sfoci in nuove tensioni e problemi: c’è la situazione siriana da tenere sotto osservazione, ci sono i tentativi di destabilizzazione interna affidati dalle centrali del terrore internazionale e a gruppuscoli come Fatah al Islam ed altri della galassia palestinese (una componente per troppi anni rimasta emarginata dopo l’esilio forzato al quale venne costretto Yasser Arafat dopo l’assedio sionista di Beirut del 1982) e c’è sempre il rischio che “Israele” possa approfittare del caos prodottosi nella regione per muovere nuovamente contro Hizb’Allah e il paese.
In questa situazione è ovvio che oggi – come sempre d’altro canto – i libanesi siano davanti ad un bivio.
Lo spartiacque tra guerra e pace, calma e tempesta, da queste parti si misura anche, soprattutto, dalla pazienza con cui si guarda al futuro: in questo momento ne occorre davvero parecchia anche perché sono realmente troppi gli interessi in ballo che coinvolgono i principali attori della geopolitica locale e internazionale.
Hizb’Allah in ogni caso sarà sempre l’ago della bilancia reale dei rapporti politici interni e il vettore rivoluzionario e militare puntato contro l’entità criminale sionista: questo è il suo naturale scopo per il quale il movimento sciita libanese venne fondato nell’ormai lontano 1982.
Chiunque prevedesse – come sottostimandone le capacità di reazione fecero i vertici politici e militari israeliani nell’estate di cinque anni fa – una politicizzazione ed un eventuale imborghesimento degli uomini del Partito di Dio evidentemente non avrebbe capito alcunché di una realtà multiforme e multidimensionale qual è quella rappresentata dal movimento di Nasrallah al quale guardano con favore le masse arabe oppresse e verso il quale spesso sono state lanciate pro-offerte di vario genere da emissari dell’Amministrazione USA.
Hizb’Allah, che conosce perfettamente le ‘regole’ del Great Game, non abbasserà la ‘guardia’ né arretrerà di un passo mantenendo fede alla sua missione metastorica che è quella di arrivare, un giorno, alla liberazione della terrasanta palestinese occupata e alla vittoria delle armi del fronte dei diseredati che – secondo l’interpretazione sciita e khomeinista iraniana – spetta a coloro che combattono la tirannia e l’ingiustizia planetarie rappresentate dal Grande Satana a stelle e strisce e dal suo alleato sionista.
Per ogni problema esiste una soluzione: gli uomini del Partito di Dio sapranno come affrontare anche la ‘bega’ del TSL , i tentativi di discreditare il movimento e le vecchie e nuove strategie us-raeliane di destabilizzazione dell’area.
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”
Note –
1 – Giorgia Grifoni – “Proporzionale sfida sistema elettorale” dal sito Nena news dell’Agenzia Stampa Vicino Oriente (Near East News Agency) all’indirizzo informatico http://www.nena-news.com/?p=11037