IL MITO DELLO STERMINIO NAZISTA DEGLI OMOSESSUALI – di Jack Wikoff

30 Mar

IL MITO DELLO STERMINIO NAZISTA DEGLI OMOSESSUALI

 

Di Jack Wikoff (1997)[1]

 

Il 2 Dicembre del 1979 a Broadway, al New Apollo Theater, venne inaugurato il dramma Bent. Il ruolo del protagonista era impersonato da Richard Gere.

Bent è la storia di un omosessuale tedesco di nome Max che viene arrestato e inviato a Dachau. Per evitare di indossare il marchio d’infamia costituito dal triangolo rosa, Max nega la propria omosessualità e decide invece di dire che è ebreo (secondo l’assunto di Bent, la condizione degli omosessuali nei campi di concentramento era inferiore persino a quella degli ebrei). Max si innamora di un altro detenuto omosessuale e il dramma ritrae le loro prove e le loro sofferenze. Alla fine Max rivendica la sua condizione di omosessuale e si suicida gettandosi sulla recinzione elettrificata.

 

 

Richard Gere in Bent, 1979.

 

Questo melodramma lacrimoso è stato in gran parte responsabile di aver popolarizzato la nozione che gli omosessuali vennero sterminati dal regime nazionalsocialista.

Il lancio pubblicitario del dramma promosse la tesi che vennero uccisi un numero enorme di omosessuali. Martin Sherman, l’autore ebreo – e omosessuale – di Bent, affermò in un’intervista del 15 Novembre del 1979 al New York Times che:

E’ stato soltanto quando ho sentito dai miei amici gay di Londra che nei campi morirono almeno 250.000, forse 500.000 omosessuali, che ho pensato alla possibilità di scrivervi un dramma. E’ stato nell’Agosto del 1977”.

E’ dal 1973 che le dicerie sullo sterminio nazista degli omosessuali vengono riportate sui media. Il successo di Bent a Broadway, e la crescente accettazione del movimento di liberazione degli omosessuali hanno provveduto a fondare questo mito.

Prima del 1973, le dicerie su un programma di sterminio degli omosessuali furono molto rare, se mai vi furono. Quell’anno vide un rapido mutamento dell’atteggiamento “ufficiale” verso la sessualità. Nel 1973 l’American Psychological Association dichiarò che non avrebbe più classificato l’omosessualità come una malattia mentale. Sempre nel 1973, la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzò l’aborto. Queste due decisioni aiutarono una potente minoranza di “attivisti per i diritti dei gay” e di femministe a imporre le loro opinioni, diventate “politicamente corrette”, alla pubblica opinione.

 

   

Il movimento gay in America, prima e dopo la svolta degli anni ’70.

 

 

Un esame cronologico delle dicerie più stravaganti dimostra come il mitico tasso di mortalità degli omosessuali sotto i nazisti si ingigantì durante il dibattito pubblico:

Un articolo del numero di Novembre del 1974 di Gay Liberator riferì che la Chiesa Protestante dell’Austria aveva affermato poco tempo prima che durante il terzo Reich erano stati uccisi 220.000 omosessuali.

Nel 1975 venne pubblicato il libro di James Steakley, The Homosexual Emancipation Movement in Germany, in una collana della Arno Press dedicata all’omosessualità. Steakley affermò che la campagna nazista contro gli omosessuali maschi provocò la morte di oltre 200.000 gay. Steakley fornì come fonte il suddetto articolo del Gay Liberator.

In un editoriale del 10 Settembre del 1975 del New York Times, Ira Glasser, dell’ACLU, scrisse la seguente affermazione:

Circa 250.000 omosessuali vennero uccisi dai nazisti tra il 1937 e il 1945, insieme ai sei milioni di ebrei”.

Di particolare interesse in questa citazione è il termine “uccisi”. Questo implica un’uccisione o uno sterminio specifico, diversamente dalle morti per malattie o per fame.

Nel 1978 un articolo di Louis Crompton, intitolato “Gay Genocide: From Leviticus to Hitler” [Il genocidio dei gay: dal Levitico a Hitler], affermò che nella Germania nazista morirono tra i 100.000 e i 400.000 gay.[2]

Nel 1979 poi, Martin Sherman, autore di Bent, affermò che “morirono nei campi almeno 250.000, se non 500.000 omosessuali”.[3]

Nel 1981 venne data al mito un’altra spinta importante grazie al libro, molto diffuso, di Frank Rector intitolato The Nazi Extermination of the Homosexuals.[4] Rector scrisse:

Sembra ragionevole concludere che almeno 500.000 gay morirono nell’Olocausto, a causa del pregiudizio contro gli omosessuali…In realtà quella dei 500.000 può sembrare una cifra troppo prudenziale”.

E’ significativo che Rector includesse gli omosessuali come vittime ufficiali di quell’evento amorfo conosciuto come “Olocausto”. Affermò anche che gli omosessuali venivano inviati nelle camere a gas. Tra le illustrazioni del libro di Rector vi è una foto, frequentemente riprodotta, di un soldato americano di fronte ai dieci metri cubi della camera di disinfestazione di Dachau (ritenuta una camera a gas omicida). La didascalia di Rector recita:

La soluzione finale del problema degli omosessuali sta dietro questa porta, riservata agli omosessuali non sterminati in vari altri modi. Questa camera si trova a Dachau. Le urla, i pianti, la ricerca inutile dell’aria, l’agonia che questa stanza racchiuse nel suo orrore a tenuta d’aria furono, nella loro azione ripugnante, una benedizione per molti gay. Essa ridusse la loro sofferenza a circa quindici minuti”.

 

 

La famosa foto del soldato americano davanti alla camera a gas di disinfestazione di Dachau, frequentemente propalata come camera a gas omicida.

 

Sempre nel 1981, apparve su The Nation un articolo intitolato “Some Jews and the Gays” [Alcuni ebrei e i gay] del romanziere omosessuale Gore Vidal.[5] Vidal rispondeva a un saggio apparso su Commentary della scrittrice ebrea “neoconservatrice” Midge Decter.[6] La Decter era stata impietosamente critica delle stile di vita omosessuale, e così Vidal le rispose che “piaccia o no, gli ebrei e gli omosessuali stanno sulla stessa fragile barca”. Proseguì ammonendola che in qualche “olocausto” futuro gli ebrei neoconservatori sarebbero finiti “nelle stesse camere a gas dei neri e dei finocchi”.

Vidal sostenne il suo discorso sulla vittimizzazione degli omosessuali con l’affermazione che lo scrittore omosessuale suo amico Christopher Isherwood una volta gli aveva detto che: “Hitler uccise 600.000 omosessuali”.

Vidal rimase così offeso della “caccia al finocchio” della Decter, che disse che il suo articolo aveva superato I Protocolli dei Savi di Sion. Egli asserì che la Decter:

E’ riuscita a fare un passo ulteriore rispetto agli autori dei Protocolli; in realtà è una virtuosa dell’odio, ed è così che iniziano i pogrom”.

Nel 1988 il mito ricevette il suo riconoscimento internazionale. In Le triangle rose: la déportation des homosexuels, 1933-1945, Jean Boisson disse di credere che i nazisti avevano ucciso un milione di omosessuali, probabilmente tutti cittadini del Reich.[7]

In questo elenco di cifre sulla presunta mortalità degli omosessuali nel terzo Reich è evidente una sequenza:

Primo: le stime sul numero dei morti sembrano crescere, e pesantemente, con il passare del tempo. Sembra che il mito abbia preso vita propria con la ripetizione continua della storia dello sterminio nazista degli omosessuali.

In secondo luogo, queste dicerie sulle centinaia di migliaia di morti non sono apparse prima del 1973. Mentre un certo numero di libri scritti prima del 1973 menzionano la carcerazione degli omosessuali nei campi di concentramento, la maggior parte di essi non lanciano nessuna accusa di sterminio.

Sembra quindi che la diceria sullo sterminio nazista degli omosessuali sia affiorata negli stessi anni in cui l’omosessualità iniziava a essere accettata dall’establishment degli accademici, degli scienziati e dei giornalisti.

Durante gli anni ’70. la comunità degli omosessuali, negli Stati Uniti e anche all’estero, acquistò un potere politico considerevole. Questo divenne chiaro dall’elezione di molti politici apertamente omosessuali, e dall’abrogazione delle leggi sulla sodomia in molti stati [degli Stati Uniti].

L’elevazione degli omosessuali alle sfere più elevate del “politicamente corretto” ha completato il ribaltamento dei precedenti valori della moralità pubblica e della politica. Quello che una volta veniva condannato dalla società è diventato, se non una virtù, almeno uno stile di vita accettabile.

L’accettazione come vittime ufficiali dell’”Olocausto” ha fornito agli omosessuali l’illusione della propria superiorità morale sul sistema di valori eterosessuale, bianco e patriarcale, ritenuto presuntamente oppressivo, un sistema che è stato la norma della Civiltà Occidentale per 2000 anni.

 

Le statistiche corrette sugli arresti e sulle detenzioni degli omosessuali nella Germania nazista

 

Per iniziare a stabilire le vere cifre sugli arresti e le carcerazioni nei campi di concentramento è essenziale esaminare le statistiche ufficiali del Terzo Reich.

La tabella seguente fornisce le cifre ufficiali della Gestapo sugli individui condannati al carcere in base all’articolo 175, che è quello della legge anti-sodomia:[8]

 

Anno Numero
1931    665
1932    801
1933    853
1934    948
1935 2.106
1936 5.320
1937 8.271
1938 8.562
1939 7.614
1940 3.773
1941 3.735
1942 3.963
1943 2.218
1944 2.000 (stima)

       

Inoltre vennero incriminati circa 4.967 uomini, tra il 1940 e il 1943, per reati che rientravano  nell’articolo 175.[9]

Queste cifre portano a un totale di 54.330 condanne. I ricercatori seri hanno espresso stime analoghe, oscillanti tra le 50.000 e le 63.000 condanne per omosessualità nel periodo 1933-1944.[10]

Solo una piccola percentuale di questi condannati venne inviata nei campi di concentramento dopo aver scontato le proprie condanne.

Ovviamente, se vennero condannate al carcere per omosessualità meno di 63.000 persone, le cifre relative a centinaia di migliaia di morti nei campi di concentramento sono assurde esagerazioni.

Erwin J. Haeberle, in un articolo intitolato “Swastika, Pink Triangle, and Yellow Star: The Destruction of Sexology and the Persecution of the Homosexuals in Nazi Germany” [La svastica, il triangolo rosa e la stella gialla: la distruzione della sessuologia e la persecuzione degli omosessuali nella Germania nazista][11], criticò le trattazioni sensazionalistiche e inesatte dell’argomento:

…Fu solo negli anni ’60 che le due Germanie emendarono il loro vecchio paragrafo 175 sulla sodomia e depenalizzarono ogni contatto sessuale tra maschi adulti consenzienti. Poco dopo, il movimento emergente per i “diritti dei gay”, specialmente negli Stati Uniti, scoprì la persecuzione nazista degli omosessuali. Purtroppo, a causa della scarsità delle informazioni e della completa mancanza di ricerche serie, i travisamenti e le esagerazioni sono diventati un fatto normale. I giornali underground e i raduni omosessuali, persino un dramma di Broadway e qualcuna delle sue recensioni, hanno dipinto un quadro storico sensazionalistico e inesatto al 100%. Infine, e molto opportunamente, un gruppo di ricercatori tedeschi si è assunto il compito di accertare qualche fatto basilare. Rüdiger Lautmann, sociologo dell’Università di Brema, insieme ad alcuni collaboratori, ha esaminato i registri ufficiali dei campi e ha pubblicato le proprie scoperte in uno studio fondamentale riguardante l’intero arco delle risposte sociali all’omosessualità”.

La ricerca del dr. Rüdiger Lautmann è estremamente importante. Venne pubblicata a Francoforte nel 1977, e apparve in forma di articolo in inglese già nel 1975.[12] Basandosi sui suoi studi nell’archivio della Croce Rossa internazionale di Arolsen, Hessen, il dr. Lautmann stimò che:

Il numero totale dei prigionieri definiti ufficialmente omosessuali incarcerati nei campi fu di circa 10.000 (ma potrebbe essere più basso, 5.000, o più alto, 15.000)”.

 


Schedari dell’
International Tracing Service di Arolsen, dove negli anni ’70 Rüdiger Lautmann compì la sua ricerca sugli omosessuali nel Terzo Reich. E’ uno degli archivi per lo studio dell’”Olocausto” più importanti del mondo. Ancora oggi il suo accesso è interdetto ai revisionisti.

 

Diecimila prigionieri omosessuali condannati ai campi di concentramento sono circa il 18% dei 54.330 uomini che scontarono una condanna in carcere. Da questo si può desumere che solo un piccolo numero di omosessuali che vennero condannati dai tribunali furono inviati nei campi di concentramento. Lavorando ad Arolsen, Lautmann e i suoi collaboratori raccolsero i dati individuali (le carte di identità dei prigionieri, fogli di documentazione, elenchi degli effetti personali, dati amministrativi, elenchi delle squadre di lavoro, registrazioni mortuarie, registri medici, ecc.) di 1.572 detenuti dei campi di concentramento segnati dal triangolo rosa. Come gruppi di riferimento, vennero utilizzati i registri di 751 testimoni di Geova e di 219 prigionieri politici.

Questi dati vennero utilizzati come base per le valutazioni del carattere sociologico e del destino dei circa 10.000 omosessuali inviati nei campi di concentramento. La maggior parte degli omosessuali vennero internati nei seguenti campi, in Germania e in Austria: Buchenwald, Dachau, Flossenburg, Mauthausen, Natzweiler, Neuengamme, Ravensbrück, e Sachsenhausen.

I criminali recidivi, i travestiti, e gli uomini che si prostituivano erano destinati ai campi di concentramento, dopo aver scontato le loro condanne al carcere. In realtà, lo studio di Lautmann stima che l’86% degli uomini inviati nei campi di concentramento erano stati condannati in precedenza per reati di natura omosessuale.

Inoltre, del numero totale di uomini inviati nei campi di concentramento Lautmann stima che il 10% era stato condannato in precedenza per atti di “seduzione”, che veniva considerata un atto sessuale a tutti gli effetti, se praticata con minori dai quattordici ai vent’anni, o con un dipendente.[13]

In preparazione ai Giochi Olimpici di Berlino del 1936, la polizia aumentò di molto gli arresti di questo genere di individui. Il balzo del 250% di condanne dal 1935 al 1936 indica questo sforzo della polizia tedesca di liberare le strade dagli omosessuali.

 

Il tasso di mortalità degli omosessuali nei campi di concentramento

 

Dei 1.572 casi di “triangolo rosa” studiati da Lautmann, 1.136 fornirono dati sufficienti per accertare il tasso di mortalità approssimativo di questi detenuti omosessuali. Il 60% dei casi studiati da Lautmann morì nei campi di concentramento, mentre contestualmente morì il 41% dei prigioneri politici e il 35% dei testimoni di Geova.

Nondimeno, non sarebbe corretto applicare questo 60% al totale dei 10.000 omosessuali internati nei campi nei dodici anni del Terzo Reich. I 1.572 casi di omosessuali studiati da Lautmann appaiono riferiti alla fine della guerra, quando il tasso di mortalità dei campi era esploso a causa delle malattie.[14] Il tasso di mortalità dei campi fu basso dal 1933 al 1940.

Sono disponibili delle statistiche che confermano un tasso di mortalità nei campi molto più alto durante gli anni di guerra. Ad esempio, i tassi di mortalità variabili da mese a mese sono documentati in: Dachau: 1933-45, The Official History.[15] In certi anni, soprattutto nel 1941-42 e nel 1944-45, si verificò il tasso di mortalità più alto, specialmente nelle ultime fasi della guerra, quando le condizioni diventarono catastrofiche. Ad esempio, nel Febbraio del 1940, a Dachau morirono solo 17 persone ma nel Marzo del 1945 ne morirono 3.977.

Perciò il tasso medio di mortalità degli omosessuali nei dodici anni in cui vennero messi nei campi di concentramento è indubbiamente molto più basso della stima di Lautmann del 60%. Nondimeno queste cifre sulla mortalità sono una questione seria. I campi di concentramento erano ovviamente posti pericolosi per gli omosessuali.

Ma non bisogna dire che queste persone vennero uccise. La grande maggioranza di queste morti fu dovuta probabilmente al tifo. Le sofferenze e le morti provocate da questa malattia sono ben documentate dalle fonti tedesche e degli Alleati. Il tifo viene trasmesso dai pidocchi e provocò milioni di morti nell’Europa del tempo di guerra. I tedeschi utilizzavano lo Zyklon-B per disinfestare vestiti, letti ed edifici, nel tentativo di limitare le epidemie. Il tifo in Europa non venne eliminato fino all’introduzione del DDT e di altri potenti insetticidi prodotti dalle aziende chimiche americane alla fine della guerra.

Particolarmente assurde sono le dicerie che gli omosessuali venivano fatti andare nelle camere a gas. Le affermazioni secondo cui i campi di concentramento come Dachau avevano camere a gas si sono dimostrate false.[16]

E’ vero che i gay ebbero una vita molto più difficile nell’ambiente pericoloso dei campi. Gli omosessuali venivano talvolta presi di mira e maltrattati da guardie e detenuti, specialmente nei primi giorni dopo il loro arrivo al campo. Lo status di omosessuale come categoria più bassa tra i detenuti poteva solo aumentare il loro isolamento, rendendo la sopravvivenza molto più difficile.

Lautmann riferisce che:

Ogni forma di socialità o di contatto tra detenuti omosessuali sollevava subito i sospetti dei guardiani…La popolazione omosessuale era spesso numericamente troppo ridotta per poter organizzare qualche forma di mutuo soccorso, per esempio attraverso il baratto. Anche le possibilità di comunicazione con detenuti di altre categorie venivano limitate, da un lato a causa del discredito personale che poteva venire al prigioniero di un’altra categoria che fosse stato visto con un omosessuale…Naturalmente, questa situazione rispecchiava lo status sociale di tutti gli omosessuali nella Germania dell’epoca, ma nei campi la loro condanna era esasperata a un livello pericoloso…In condizioni di stress estremo, come nella reclusione, i legami familiari sono un’importante fonte di sicurezza. Ovviamente il detenuto omosessuale, paragonato ai detenuti delle altre categorie, era molto meno atto a ricevere il sostegno di una famiglia coniugale…La percentuale degli uomini sposati (o vedovi), tra i prigionieri con il triangolo rosa, era da tre a cinque volte inferiore rispetto agli altri e quella degli uomini senza bambini era superiore di circa due volte”.

Lautmann ha anche scoperto che:

I detenuti con il triangolo rosa minacciati più spesso di morte erano i più giovani [dai 18 ai 21 anni] e i più anziani. Solo per i detenuti tra i 21 e i 30 anni c’erano buone possibilità di sopravvivenza. Quanto la sopravvivenza dipendesse dalla capacità di adattamento alle condizioni dei campi è mostrato dalla relazione tra la lunghezza della detenzione e la natura dei termini di detenzione…Tra i detenuti omosessuali che stavano nei campi di concentramento per un anno o meno, quattro su cinque morivano, mentre tra quelli che erano condannati a più di due anni, ne sopravvivevano tre su quattro”.

Un altro fattore che isolava gli omosessuali era che i gay venivano trasferiti da un campo all’altro molto più frequentemente degli altri detenuti. Questo significava doversi adattare nel nuovo campo a condizioni ambientali interamente nuove, con la relativa lotta per cibo, vestiario e cure mediche adeguati.

E’ anche interessante notare che, secondo Lautmann, gli omosessuali non avevano un tasso di suicidi più alto dei prigioneri politici e dei testimoni di Geova (1%).

 

La reazione violenta degli ebrei contro l’”Olocausto” degli omosessuali

 

Un certo numero di autori, di solito ebrei, si è risentito per l’inclusione degli omosessuali tra le vittime dell’”Olocausto”.

L’annuario del Simon Wiesenthal Center del 1990 ha esposto la situazione nel modo seguente:

Nel periodo immediatamente postbellico, molti di quelli che scrissero sui campi di concentramento…trattarono gli omosessuali come criminali comuni, giustamente puniti per aver violato il codice penale del Terzo Reich. In anni più recenti, gli storici dell’Olocausto, in particolare quelli che sostengono l’opinione esclusivista che l’Olocausto è stata un’esperienza attribuibile unicamente al popolo ebreo, hanno assunto una posizione simile. Così, Lucy S. Dawidowicz, un’eminente esclusivista, ha liquidato come non meritevoli di menzione “le prostitute, gli omosessuali, i pervertiti e i criminali comuni” imprigionati dai nazisti”.[17]

La Dawidowicz diede la sua legnata sulle “prostitute, gli omosessuali, i pervertiti, e i criminali comuni” nel 1981. Nel 1990, in un articolo intitolato “How They Teach the Holocaust” [Come insegnano l’Olocausto], ella negò esplicitamente la nozione di uno sterminio nazista degli omosessuali:

…Qualche curriculum allarga l’elenco delle vittime del genocidio nazista per includere quelli che il nazismo non aveva mai voluto sterminare. Il curriculum Pennsylvania/Grobman è uno dei molti che citano gli omosessuali e i membri dei testimoni di Geova, sebbene non vi siano prove storiche che i nazisti abbiano mai pianificato di sterminare tali gruppi. Sicuramente i nazisti mettevano gli omosessuali nei campi di concentramento e li identificavano con il triangolo rosa, proponendosi di “rieducarli” a funzionare nella società “normale”. E i Testimoni di Geova (Bibelforscher, in tedesco), che rifiutavano di riconoscere l’autorità dello stato nazista, erano parimenti inviati nei campi di concentramento (e identificati con il triangolo viola) per un termine limitato di due mesi. Entrambi questi gruppi venivano imprigionati insieme ad altre categorie di prigionieri che i tedeschi non volevano uccidere: criminali (triangolo verde); asociali—mendicanti, vagabondi, prostitute, e simili (triangolo nero); e i prigionieri politici (triangolo rosso). Molti di questi detenuti, inclusi i Testimoni di Geova e gli omosessuali, incapaci di sopportare la durezza dei lavori forzati, si ammalarono e morirono per la mancanza di cure mediche…”.[18]

Il conflitto tra ebrei e omosessuali come vittime dell’”Olocausto” è emerso anche nell’articolo di Richard Goldstein “Whose Holocaust?” [L’Olocausto di chi?], pubblicato il 10 Dicembre del 1979 sul Village Voice.

Goldstein sottolinea che “Per i gay, l’inclusione nell’Olocausto è diventato un simbolo di visibilità sociale”, e inoltre che:

I miti vengono creati per rispondere a dei bisogni, e dati gli imperativi della fine degli anni ’70, era inevitabile che gli omosessuali avrebbero avuto “bisogno” dell’Olocausto, se non altro per semplificare il processo enormemente complicato con cui arrivano a sentirsi oppressi”.

Ma per gli ebrei, la tesi secondo cui nei campi di concentramento gli ebrei erano trattati meglio degli omosessuali (come è stata espressa nel dramma Bent), è una vergogna. Per illustrare questo punto, Goldstein scrive:

Ma Raul Hilberg, autore della Distruzione degli ebrei europei e membro della Commissione sull’Olocausto del Presidente [degli Stati Uniti] dice che “Gli omosessuali avevano una possibilità di sopravvivenza molto superiore nei campi di concentramento”. Egli dice che non vi sono prove per dire che gli ebrei venivano trattati meglio dei gay, e che” la nozione di qualcuno che si traveste da ebreo è palesemente ridicola”. L’affermazione più schiacciante di Hilberg è che gli omosessuali erano prigionieri molto stimati, e che molti kapos, i detenuti che amministravano le baracche e che tenevano gli altri sotto disciplina, erano gay. Hilberg è contrario a includere i gay nel monumento alle vittime dell’Olocausto. “Sarebbe una farsa”, afferma. “Non c’erano comportamenti che potessero salvare un ebreo. Questo è un monumento per commemorare questo destino particolare”.

 

Smascherare gli “Olocausti” degli omosessuali e degli ebrei

 

Le dicerie sullo sterminio nazista degli omosessuali possono essere divise in tre categorie:

  1. La volontà – il governo nazionalsocialista viene erroneamente ritratto come se avesse pianificato e attuato un programma di sterminio degli omosessuali.
  2. I numeri – il numero delle vittime omosessuali del governo nazionalsocialista viene vergognosamente valutato in centinaia di migliaia (o persino un milione).
  3. Le cause di morte – Viene falsamente affermato che gli omosessuali venivano uccisi nelle camere a gas o con atti di estremo sadismo e perversione.

Applicando questi stessi criteri di analisi, la ricerca revisionista ha mostrato che le affermazioni sulla volontà, i numeri e le cause di morte delle vittime ebree durante la seconda guerra mondiale sono state falsificate.

Molto più di quanto gli ebrei e gli omosessuali siano disposti ad ammettere, entrambi questi gruppi hanno bisogno dello status privilegiato che viene conferito dalla presunta “vittimizzazione”. Nell’attuale milieu politico e culturale, essere proclamati vittime dell’”Olocausto” conferisce enormi vantaggi finanziari, politici, sociali e religiosi.

 


Quando le “vittime” comandano: i vantaggi dell’”Olocausto”.

 

Le accuse in base alle quali gli omosessuali e gli ebrei vennero “sterminati” dal governo nazionalsocialista sono false e costituiscono una maligna calunnia contro il popolo tedesco.

Da questo punto di vista sarebbe opportuno che la gente si accostasse alle storie dell’”Olocausto” con una dose molto maggiore di scetticismo e di obbiettività storica.    

 


[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.cwporter.com/homo.htm .

[2] The Gay Academic, Palm Springs, California, Etc. Publications, 1978, pp. 67-91.

[3] Oltre all’intervista del 15 Novembre del 1979 sul New York Times, questa stessa affermazione di Martin Sherman comparve sull’edizione cartacea di Bent (New York, Avon Books, 1980) a p. 80.

[4] New York, Stern and Day, 1981.

[5] The Nation, 14 Novembre 1981.

[6] “The Boys on the Beach” [I ragazzi sulla spiaggia], Commentary, Settembre 1981.

[7] Il libro di Boisson è citato in “Homosexuals in Nazi Germany”, di Warren Johansson e William A. Percy, pubblicato nell’annuario del Simon Wiesenthal Center, volume 7, 1990.

[8] Queste cifre sono tratte dal testo di Johansson e Percy anzidetto, p. 251, e da The Pink Triangle: The Nazi War Against the Homosexuals, di Richard Plant (New York, Henry Holt & Co., 1986, p. 231. Entrambe queste pubblicazioni si rifanno a numerosi fonti in lingua tedesca.

[9] Plant, p. 230.

[10] Warren Johansson e William A. Percy, Richard Plant, Erwin J Haeberle, Rüdiger Lautmann e altri.

[11] In Hidden from History: Reclaiming the Gay and Lesbian Past [Nascosto dalla storia: reclamare il passato gay e lesbico]. Edito da Martin Duberman, Martha Vicinus e George Chauncey Jr., New York, Meridian, 1989-1990, pp. 373-374.

[12] “The Pink Triangle: the Persecution of Homosexuals Males in Concentration Camps in Nazi Germany”, di Rüdiger Lautmann, apparso in: A Homosexual Emancipation Miscellany, 1835-1952, New York, Arno Press, 1975. Quest’articolo è una versione condensata del libro del professor Lautmann Seminar: Gesellschaft und Homosexualität, Francoforte, 1977.

[13] Questi tipi di reato rientravano nei paragrafi 174 e 176 del codice penale tedesco.

[14] L’articolo di Lautmann contiene una tabella intitolata “Sistemazione dei prigionieri finora conosciuta”. Il 26% degli omosessuali, il 41% dei prigionieri politici e il 57% dei testimoni di Geova sono elencati come “liberati”, il che significa che nella primavera del 1945 si trovavano nei campi.

[15] Di Paul Berben, Londra, The Norfolk Press, 1975. Recensito da John Cobden nel numero di inverno del 1989-90 della rivista The Journal of Historical Review.

[16] Tra le autorità dell’”Olocausto” che hanno ammesso che a Dachau non vi furono gasazioni si possono citare martin Broszat (Die Zeit, 26 Agosto 1960, p. 14) e Simon Wiesenthal (Books and Bookmen, Aprile 1975). I revisionisti sostengono che non vi furono gasazioni in nessun campo, neppure in Polonia.

[17] Warren Johansson e William A. Percy, p. 226.

[18] Commentary, Dicembre 1990.

 

( Fonte: www.ita.vho.org )