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Intervista a Cesare Saletta sull’industria dell’olocausto

8 Nov

Intervista a Cesare Saletta sull’Industria dell’olocausto (scritto con la ”o” minuscola) scrittore e pensatore italiano, sulla libertà d’espressione in Occidente e l’Olocausto.

Le pongo una domanda che in Iran ed in altri paesi islamici la gente si chiede frequentemente. “In occidente c’è la libertà di espressione; permette di mettere in dubbio qualsiasi cosa … la religione, i profeti, si può mettere in dubbio anche Dio stesso; ma se qualcuno osa esprimere il più piccolo dubbio sulla versione che l’Occidente attualmente propone sull’Olocausto, viene incriminato ed arrestato. Perchè tutta questa sensibilità sull’Olocausto?
Debbo dire che il discorso non può concernere e riguardare l’intero Occidente, per esempio in Italia non esiste ancora una vera e propria legge anti-revisionistica. Per altro una legge anti-revisionistica ed anche molto severa vige in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale ed in qualcuno dell’ex blocco sovietivo perchè questa sensibilità; io direi perchè da un lato, gli europei collettivamente considerati hanno in un certo senso la coscienza sporca e per un’altro verso in quanto la vittoria del blocco Occidentale contro le potenze dell’asse nel 1945 ha rappresentato, qualunque cosa io politicamente pensi, una terribile battuta d’arresto per l’Europa nel suo insieme. E allora siccome Israele è una pedina importantissima nel gioco politico mondiale condotto dall’imperialismo americano è chiaro che Israele è diventato anche per gli europei il Sancta Santorum, cioè uno delle cose, forse l’unica cosa considerata sacra che oggi sia riconosciuta come tale in Occidente. Dovete tener presente che in Occidente da ormai 60 anni c’è un martellamento continuo che negli ultimi 30-40 anni è diventato parossistico. Un martellamento continuo inteso a propagandare il presunto sterminio degli ebrei. Il revisionismo ha questo di importante; che ha stabilito con sufficiente certezza che gli ebrei sono stati crudelmente perseguitati dal regime nazista e dai regimi fascisti. Questa persecuzione è costata loro molto sangue e molta sofferenza, la tesi revisionistica è che un piano di sterminio non c’è mai stato ed i lager, i cosiddetti campi della morte considerati tali solo dopo la guerra, prima non erano considerati tali. I campi della morte non erano destinati allo sterminio e in realtà il dramma che vi si è consumato è stato originato sìa dalla crudeltà dei guardiani delle autorità ecc… sìa dai complessi fenomeni che creavano dei fortissimi antagonismi all’interno della massa di milioni di deportati. Su questo esiste una letteratura molto importante che ha preso le mosse da un libro straordinario di un socialista francese che era deportato a Buchenwald cioè Paul Rassinier, la Menzogna di Ulisse ha spiegato perfettamente quale fosse il meccanismo sociale che produceva nei campi di concentramento una montagna di cadaveri. Detto questo bisogna dire che il piano di sterminio ai danni degli ebrei non è mai emerso dalle migliaia di tonnellate di documenti nazisti esaminati dopo la guerra. Bisogna aggiungere che le cosiddette camere a gas sono in realtà degli strumenti nei quali non si riesce minimamente a capire come avrebbero potuto funzionare come camere a gas e che è uno dei punti essenziali per la valutazione dell’insieme del dramma degli ebrei, va individuato nel tema ancora sotto studio dell’apparato destinato alla cremazione dei cadaveri nei lager. Esiste in proposito, parlando ancora di cose pubblicate, uno studio importantissimo dell’unico vero e proprio studioso italiano di Revisionismo; io non sono uno studioso del Revisionismo, io sono un lettore attento di testi revisionistici ed anche di testi anti-revisionistici ma l’italiano Carlo Mattogno ha da anni in preparazione e credo che ormai sia pressochè ultimato un’opera fondamentale su questo punto essenzialissimo. Potevano i crematori nazisti smaltire la massa di cadaveri che dovrebbero avere smaltito? La risposta di Mattogno è categoricamente “no” e in questo Mattogno ci trova d’accordo con la totalità dei revisionisti del mondo.

Allora se queste persecuzioni, chiamiamole così, non ci sono state, alcuni studosi ritengono proprio che siano state create per poi gettare la base necesaria per la creazione di Israele? Lei è d’accordo su questo punto?
Debbo dire che io non ho assolutamente affermato che le persecuzioni contro gli ebrei non ci sono state. Le persecuzioni contro gli ebrei ci sono state. Sono state persecuzioni che hanno assunto anche forme crudeli. Come revisionista non ho alcuna difficoltà a riconoscere, ad ammettere, a constatare, che dei sanguinosi massacri sono stati consumati, nella Polonia, in Lituania, nell’Unione Sovietica occupata ecc. ai danni degli ebrei. Contesto che sia esistito un progetto nazista di sterminio degli ebrei, mentre il progetto nazista era quella di una cacciata generale degli ebrei fuori dal territorio occupato dalle potenze dell’asse. Lei mi domanda, Lei mi dice se sono d’accordo sul fatto che la leggenda dello sterminio è stata imposta ed è alimentata per favorire il disegno dello Stato sionista. Sono sostanzialmente d’accordo su quest’affermazione. Non per niente il sionista australiano Rubinstein, che è un noto sociologo del suo Paese, diceva che quello dell’Olocausto è l’arma propagandistica numero uno dello Stato sionista.

Altri analisti ritengono che la versione dell’Olocausto, quella comunemente accettata in Occidente, viene usata anche dal regime sionista per un’auto-vittimizzazione e nche per ricattare l’Europa quando ce n’è bisogno. Lei cosa ne pensa?
Sono perfettamente d’accordo. È evidente, è un gioco palese, è evidentissimo. È chiaro che uno dei fattori di rito dello Stato sionista è la colpevolizzazione sistematica di tutta l’Europa e poi siccome è una politica che evidentemente è stato il regime sionista a colpevolizzare l’intero mondo, ma per quello che riguarda l’Europa voglio far richiamare particolare attenzione sul cumolo di accuse che sono state rovesciate contro la Chiesa Cattolica. Debbo dire che io sono cattolico di nascita ma non sono minimamente cristiano. Non sono praticante, sono ateo convinto. Debbo dire che non ho nessuna simpatia per la gerarchia religiosa cattolica ma debbo dire che la figura di Pio Dodicesimo che fu l’unico uomo di Stato europeo che si oppose veramente nei limiti delle sue forze allo scoppio della seconda guerra mondiale. La colpevolizzazione di Pio dodicesimo rappresenta una pagina vergognosa sia per la Chiesa Cattolica che l’accoronato sia per lo Stato d’Israle che ha operato questa colpevolizzazione. Dopo avere in irripetute occasioni aver dichiarato di aver un debito di gratitudine nei confronti dell’opera svolta da Pio Dodicesimo a favore degli ebrei perseguitati d’Europa.

Alcuni politici ritengono che da più di sessant’anni i musulmani, le popolazioni musulmane in Medioriente stiano pagando per colpe che non hanno commesso nei confronti degli ebrei. Lei cosa ne pensa?
Sono perfettamente d’accordo. Io direi che soprattutto la popolazione palestinese, ma non essa sola, sono vittime da più di sessant’anni, da molto più di sessant’anni, almeno dal 1916, sono vittime di un tentativo per quanto di più assurdo si possa immaginare, inaccettabile per qualsiasi altro gruppo etnico o nazionale. Lei saprà perfettamente che in età anteriore al dominio d’Europa sulla penisola italiana vi è stata solo la civlità etrusca, ecco la pretesa del sionismo di ricostituire uno Stato ebraico in Palestina è paragonabile perfettamente alla pretesa che potrebbe nutrire un brandello della popolazione etrusca di ricostituire uno Stato nazionale in Italia sgomberando l’Italia dai suoi abitanti, i quali vi sono stabiliti da almeno 2500 anni, sgomberando Italia dalle Alpi fino ad arrivare quasi a Napoli o poco oltre Napoli. Una pretesa che non sarebbe ammessa da nessun altro gruppo nazionale o etnico, assolutamente no. Di questa politica le prime vittime sono sicuramente il popolo palestinese, in genere i popoli arabi, e il popolo tedesco per un’altro verso.

Un’altra domanda sulla relazione che esiste tra Stati Uniti e regime sionista. Alcuni credono che regime sionista sia un fantoccio guidato dagli statunitensi nella regione, altri al contrario, pensano che a guidare le politiche dell’amministrazione americana ci siano le lobby sioniste. Lei quale teoria ritiene più valida?
Credo che entrambe queste posizioni prese in assoluto non siano esatte. Secondo me è essenziale il ruolo svolto dall’ebraismo americano che è quasi totalmente infeudato l’ideologia sionista, ruolo importantissimo di pressione di condizionamento degli organi statali e degli organi dall’espressione dalla vita politica statunitense. Non per niente un’uomo politico che non è della mia parte politica vivente in Italia ha volto all’indomani del 1982 questa singolare ma efficacissima sintesi. Ha detto: “l’America non è in Israele ma Israele è in America” e con questo ha illuso in maniera oltretutto elegantissima all’enorme potere di condizionamento esercitato dal sionismo americano. Le voglio far notare dicendo questo che sono sempre molto attento a distinguere tra ebraismo e sionismo. L’ebraismo è una confessione religiosa e come tale io non ho simpatia per essa come per qualsiasi altra confessione religiosa, ma è una confessione religiosa e basta. Il sionismo è un’ideologia reazionaria, voglio ricordare che è stata condannata da Lenin in persona, secondo la quale gli ebrei come tale viventi in luoghi più disparati della Terra e parlanti usualmente lingue del tutto diverse una dall’altra sarebbero non un gruppo sociale ma sarebbero una nazionalità. Questa è la tesi centrale del sionismo ed è una tesi reazionaria e scientificamente insussitente, inconsistente.

Una parte dei leader mondiali dell’ebraismo condannano le politiche sioniste, ma un’ultima domanda: considerando gli ideali del sionismo che dimostra riconoscere, secondo Lei non è un movimento pericoloso per la pace e la sicurezza mondiale?
Sionismo come tale non sarebbe nessuna di nessuna pericolosità. Purtroppo il sionismo armato di Stato d’Israele è pericolosissimo per la pace mondiale. Non c’è il minimo dubbio su questo. Possiamo aspettarci solo del male dell’esistenza dell’entità sionista nella terra palestinese.

IL DRAMMA DEGLI EBREI – Conclusione – Paul Rassinier

8 Nov

CONCLUSIONE

La logica esigerebbe che questo studio demografico si concludesse almeno con una statistica generale divisa, per ciascuna delle nazioni europee che ho prese in esame, in quattro sezioni:
1. Il numero degli ebrei che vi vivevano alla vigilia dell’ascesa al potere del colonnello Beck in Polonia (1932) e di Hitler in Germania (1933).
2. Il numero di coloro che, per sfuggire alla persecuzione, hanno emigrato nel periodo compreso tra questi due avvenimenti e il 1945.
3. Il numero di coloro che furono ritrovati vivi nel 1945.
4. Infine, il numero dei morti.
Ma perché questa oscura storia fosse perfettamente messa in luce, questa statistica dovrebbe accompagnarsi a un’altra che desse la struttura della popolazione ebrea mondiale alla fine dell’anno 1962. In quattro sezioni, ugualmente, per ciascuna delle nazioni degli altri continenti:
1. Il numero degli ebrei che vi vivevano prima dell’ascesa al potere del colonnello Beck in Polonia e di Hitler in Germania.
2. L’aumento naturale della popolazione dal 1932 al 1962.
3. Il livello della popolazione ebrea alla fine del 1962.
4. Infine, il numero degli emigranti ebrei ottenuto dalla differenza tra i totali delle colonne 2 e 3: non vi è dubbio che la differenza sarebbe dell’ordine di 4.416.108.
Tale era la mia intenzione all’inizio. Al termine, questo lavoro si dimostra impossibile: la seconda statistica non può essere stabilita che a condizione che il Movimento Sionista internazionale accetti il principio di un censimento mondiale della popolazione ebraica e, si è visto (cfr. p. 104) come questo principio non era alla vigilia di essere accettato. Quanto alla prima statistica, la sua compilazione urta con tutta una serie di difficoltà, malgrado tutta la precisione che ci ha portato lo studio al quale mi sono accinto.
La più insormontabile di tutte queste difficoltà è la seguente: benché noi sappiamo, ora, che un minimo di 4.416.108 ebrei sono riusciti a lasciare l’Europa tra il 1931 e il 1945, siamo assai meno informati circa la nazionalità di ciascuno di essi. Non vi è problema per paesi come la Danimarca, la Norvegia, la Germania, l’Austria,
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la Bulgaria e ancora uno o due altri paesi, ad esempio i Paesi Baltici, la stessa Grecia. Non si trovavano sull’itinerario della migrazione ebrea, i tedeschi non vi hanno incontrato che ebrei di questi paesi e tutto, quindi, risulta chiaro. Ma non avviene lo stesso per altri: in Olanda, nel Belgio, in Francia, in Italia, in Ungheria, in Romania, che sono stati paesi di rifugio o di passaggio prima di essere occupati dalle truppe germaniche, gli ebrei sono stati arrestati e deportati alla rinfusa e siamo quindi nell’impossibilità di suddividerli per nazionalità, tanto quelli che lo sono stati, quanto quelli che sono riusciti a sfuggire. L’Ungheria è tipica per questa difficoltà: siamo, è vero, riusciti a stabilire che, degli 800.000 ebrei che vi esistevano al 19 marzo 1944, 543.000 non erano stati deportati; che circa 200.000 lo erano stati; che 57.000 erano probabilmente stati massacrati durante le operazioni di polizia e che 343.000 erano riusciti a emigrare, ma… Ma, in ognuna di queste categorie, chi era ungherese, chi era iugoslavo, chi era cecoslovacco, e chi polacco? Stesso problema per la Romania dove abbiamo trovato 147.650 massacrati e 652.350 superstiti dei quali 277.350 emigrati. Identico problema per Olanda, Belgio, Lussemburgo e Francia dove è risultato che solamente 83.000 ebrei, dell’una o dell’altra di queste quattro nazionalità, avevano potuto essere arrestati o deportati: qui sappiamo che non vi erano belgi tra loro; che il numero dei francesi si deve situare obbligatoriamente tra 6.000 e 11.999; quello dei lussemburghesi sotto i 2.000 (gli altri sono olandesi), ma queste sono, comunque, cifre troppo poco esatte per figurare in una statistica. Per la Polonia, sappiamo che 829.040 ebrei vi sono stati arrestati, sia in territorio nazionale, sia in via d’emigrazione per l’Ovest, ma dei 289.300 che avevano tentato di emigrare per la via danubiana, quanti ne sono stati arrestati in Ungheria, quanti in Romania? Tutte incognite alle quali è impossibile rispondere e che sono le stesse per i cecoslovacchi che sono fuggiti in Ungheria, per gli iugoslavi che sono fuggiti in Italia, ecc…
In ultima analisi, piuttosto che mettere in circolazione una statistica per nazionalità, i cui dati sarebbero stati discutibili e avrebbero aggiunto confusione a quella già creata dagli storici e dagli statisti del Movimento Sionista Internazionale, ho preferito stabilire questa statistica in base al solo piano sul quale abbiamo delle certezze, vale a dire, quello dell’Europa. Qui non vi sono discussioni possibili: possiamo affermare che un minimo di 4.416.108 ebrei europei sono riusciti a emigrare in tempo utile per non venire arrestati e deportati nei campi di concentramento e possiamo aggiungerli a quelli che gli storici e gli statisti del Movimento Sionista Internazionale hanno ritrovati viventi in Europa nel 1945.
Ecco allora, in base ai dati del Centro di documentazione ebraica ciò che diviene, su scala europea, la nostra statistica a quattro sezioni, integrandovi alla data del 1931 i 300.000 ebrei tedeschi + 130.000 ebrei austriaci dati come fuggiti dall’Europa per sottrarsi a Hitler + il milione di ebrei della zona russa che mai fu occupata
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dalle truppe tedesche e che il Centro aveva arbitrariamente tolti:

   1931  1945  Perdite ufficiali  Emigrati ritrovati  Perdite reali
  Totali della statistica a p. 109bis  8.297.500  2.288.100  6.009.400  —  —
 Emigranti tedeschi riconosciuti  300.000  300.00  —  —
Emigranti austriaci ricoinosciuti  180.000  180.000  —  —  —
 Ebrai russi salvati dalle autorità sovietiche  1.000.000 1.000.000  —
Totali reali del Centro mond. di doc. ebr. cont. al 1945  9.777.500 3.768.100 6.009.400  <——-I  
 Totali reali come risultano da questo studio  9.777.500  3.768.100   4.416.108 1.593.292

 

STESSA STATISTICA SUI DATI DI RAUL HILBERG
(Egli non ha separata la Russia in due zone, ma ha riconosciuto 300.000 ebrei emigranti tedeschi e 180.000 austriaci.)

   1931 1945 Perdite ufficiali Emigrati ritrovati Perdite reali
Totali p. 109 tris 9.190.000  3;770.000  5.419.500  —  —
 Emigrati tedeschi riconosciuti  300.000 300.000  —  —
 Emigrati austriaci riconosciuti  180.000 180.000  —  —  —
 Totali reali di Hilberg al 1945  9.670.000  4.250.000  5.419.500  <———-  ——-
 Totali reali risultanti da questo studio  9.670.000  4.250.000    4.416.108 1.003.392


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Ne possiamo concludere che:
— lo studio della statistica del Centro di documentazione ebraica basandosi sui propri dati fa apparive 1.593.292 ebrei europei morti a causa delle persecuzioni naziste, nei campi di concentramento o in altro modo;
— lo studio di Raul Hilberg non ne fa risultare che 1.003.392.
Di questo problema, per due volte mi ero occupato in Ulisse tradito dai suoi, pubblicato in Francia nel 1960, e in una comunicazione alla rivista tedesca Deutsche Hochschullehrer-Zeitung (Tübingen n. 1/2, febbraio 1963). Ogni volta avevo scritto in funzione dei dati di fonte ebrea, resi pubblici a quell’epoca. Ma, la prima volta, la Sentenza del Processo di Gerusalemme, e a più forte ragione, lo studio di The Jewish Communities of the World del febbraio 1963 non erano stati messi in circolazione. Perciò, in funzione di quanto era conosciuto, la mia convinzione era stata che il numero degli ebrei europei morti per le persecuzioni naziste, in campo di concentramento o in diverso modo, doveva essere di circa un milione (1.000.000), più o meno. La seconda volta, ero in possesso della Sentenza di Gerusalemme e avevo seguito, giorno per giorno, i dibattiti del Processo, ma non ero ancora a conoscenza dello studio The Jewish Communities of the World, non ancora pubblicato: nella conclusione della mia comunicazione a Deutsche Hochschullehrer-Zeitung (op. cit. pp. 61-62) avevo sostenuto che se questo numero era superiore a 1.000.000, non poteva in nessun modo superare le 1.655.300 vittime. Oggi, avendo a disposizione tutti questi documenti che allora mancavano, si può dire che, calcolato in base alle precedenti notizie del Centro di documentazione ebraica, il numero delle vittime è 1.593.292, e calcolato in base a quello di Raul Hilberg: 1.003.392. Per raggiungere una maggiore precisione, bisogna attendere che nuovi “sommi ingegni” del tipo di Shalom Baron, Poliakov, Borewicz, ecc… si decidano a nuove confessioni o che un nuovo processo del tipo di quello di Gerusalemme ci dia nuovi lumi per il problema: tema di far ridere il lettore dicendogli che, conoscendo gli ambienti sionisti, non solamente l’una come l’altra di queste ipotesi non possono essere escluse, ma anche l’una come l’altra sono più che probabili. In quegli ambienti, non mancano, in effetti, né i chiacchieroni incoscienti e in fregola di pubblicità rumorosa, né — purtroppo — i giudici assetati di vendetta. E conto anche molto su due altri ordini di ragioni: i dissensi latenti e continui che esistono tra Ben Gurion e Nahoum Goldmann e lo screzio tra russi e cinesi.
Da molto tempo Nahoum Goldmann dà segni d’impazienza e di stanchezza per la politica di Ben Gurion nei confronti della Germania. Già si sapeva, egli l’aveva dichiarato pubblicamente, che non era entusiasta dell’arresto di Eichmann e del processo che ne era seguito. Indiscrezioni che trapelano di tanto in tanto ci fanno sapere che non apprezza molto tutti questi processi che vengono intentati
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in Germania ai vecchi membri dell’una o dell’altra organizzazione nazista dei tempi di Hitler. Nella stessa Israele, accese discussioni oppongono i due clans: quello di Ben Gurion a quello di Goldmann, ogni volta che quest’ultimo trova un ministro tedesco abbastanza stupido per accettare l’invito che egli gli manda al solo scopo di farlo pubblicamente ingiuriare in Israele dai suoi partigiani e di aver in tal modo una scusa per attirare l’attenzione del mondo intero sul debito che, collegandosi a Hitler nel 1933, la Germania ha contratto con Israele.
Tutto avviene come se, non osando prendere pubblicamente posizione contro Ben Gurion a proposito della sua politica verso la Germania, Nahoum Goldmann si sforzasse, dietro le quinte, di mettere in sordina il suo tema centrale. E il fatto che, in materia di ebrei sterminati, le statistiche provenienti dal Movimento Sionista americano siano, generalmente, assai più moderate di quelle provenienti dalla sua filiale europea (è il caso di quella di Raul Hilberg paragonata a quella del Centro di documentazione ebraica) potrebbe essere il riflesso dei dissensi che esistono tra i due uomini. Sarebbero anche spiegate, così, le divergenze e le contraddizioni rilevate nelle fonti ebraiche in materia di statistica.
Quanto allo screzio profondo che oppone Krusciov a Mao-Tse-Tung, vi sono da temere delle conseguenze, in considerazione del fatto che la popolazione ebrea della Russia assieme a quella degli Stati Uniti, è l’altro dei due più grandi enigmi che pesano sulla soluzione del problema. L’Istituto degli Affari ebraici di Londra e The Jewish Communities of the World ci hanno detto che nel 1962 vi erano in Russia 2.300.000 ebrei, ma Raul Hilberg ci ha rivelato che ve ne erano 2.600.000 nel 1946, e questa stima, che può essere considerata confermata dal giornalista David Bergelson (Die Einheit, 5-12-1942, op. cit.), può anche essere ritenuta la più prossima alla verità. In questo caso, non si tratterebbe di 2.300.000 ebrei viventi in Russia nel 1962, ma 2.600.000 + 16% = 3.016.000. Se prendessimo in parola una nostra vecchia conoscenza, il professor Shalom Baron, allora avremmo: 2.600.000 + 20% = 3.120.000. Ma non lasciamoci tentare: 3.016.000. E non lasciamoci tanto meno tentare in quanto, in realtà, ve ne sono, in tutti i modi, molti più di 3.016.000, poiché il giornalista David Bergelson ci ha anche detto, non dimentichiamolo, che l’80% degli ebrei baltici, polacchi, romeni che si trovavano entro le linee russe, essendo fuggiti davanti alle truppe germaniche nel 1941-42, erano stati salvati e incamminati verso l’Asia centrale delle autorità sovietiche. Egli valutava, alla fine del 1942, a circa 5.200.000, di cui 3 milioni russi, il numero degli ebrei che si trovavano in territorio sovietico, e in questo era d’accordo con la statistica del tedesco Korherr, del 17 aprile 1943, già citata. Domanda: che è accaduto di questi 2.200.000 ebrei non russi? Risposta: una parte è riuscita a scappare e a raggiungere il continente americano o Israele, una parte non vi è ancora riuscita. Quanti da una parte e quanti dall’altra? Non si saprebbe dirlo. Ma, certo fino a
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quando Krusciov o Mao-Tse-Tung erano d’accordo, non deve sicuramente essere stato facile agli ebrei trasferiti in Asia centrale durante la guerra, raggiungere il continente americano via Cina, e coloro che vi sono riusciti, l’hanno fatto in tutta clandestinità. La divergenza tra russi e cinesi potrebbe nel futuro più o meno prossimo avere come conseguenza l’aiuto di Mao-Tse-Tung agli ebrei perché possano lasciare il territorio sovietico, come la Cina di Ciang-Kai-Chek li aveva aiutati per le stesse ragioni prima della seconda guerra mondiale. In questo caso, un giorno, la presenza di un numero molto rilevante di ebrei potrebbe improvvisamente rivelarsi in tutti i paesi del continente americano, e forse anche in Israele, e nella misura in cui l’avvenimento non potrebbe essere tenuto nascosto, gettando una luce nuova sulle ultime statistiche dei “sommi ingegni” del Movimento sionista internazionale. Anche questa ipotesi non è da escludere. E se gli Stati Uniti adottassero finalmente una politica razionale verso la Russia, prestissimo la verità trionferebbe.
Ma torniamo al nostro problema secondo i dati che attualmente sono a nostra disposizione: il numero degli ebrei europei che sono morti vittime delle persecuzioni naziste sono, sia 1.593.292 persone in base ai dati del Centro di documentazione ebraica confrontati con le motivazioni della Sentenza di Gerusalemme e con lo studio di The Jewish Communities of the World apparso nel febbraio del 1963; sia 1.003.392 in base a quelli da Raul Hilberg sottoposti allo stesso confronto. Rimane da stabilire come si sono distribuiti nelle altre parti del mondo i 4.416.109 ebrei che nel 1945 vi vivevano, e che, non figurando a questo titolo nelle statistiche europee di fonte ebraica, si è obbligati a ritenerli fuggiti dall’Europa dal 1931 al 1945. Questo è il problema della seconda statistica destinata nella mia mente a fornire la struttura per paese, della popolazione ebrea mondiale nel 1962. E come la precedente, anche questa statistica è impossibile da stabilire.
Lo studio della popolazione ebraica israeliana ci ha già rivelato che essa comprende 1.048.368 europei ebrei che hanno immigrato in Israele tra il 1931 e il 1962 (cfr. p. 138).
Restano da ripartire: 4.416.108 – 1.048.368 = 3.367.740 ebrei europei nel resto del mondo. E proprio su quest’ultimo aspetto del problema le fonti ebraiche sono le più discrete: sono estremamente rari, secondo lo studio di The Jewish Communities of the World e World Almanac del 1963, i paesi non europei nei quali la popolazione ebraica confessata è superiore, oltre al suo naturale aumento, a quella che era nel 1926-’27 o ’28 (a seconda del caso) nella statistica di Arthur Ruppin. Vi sono persino paesi nei quali il tasso d’aumento nonnale non è raggiunto, ed è, come si è visto, il caso degli Stati Uniti, i quali, se dobbiamo credere a queste importanti pubblicazioni, non sarebbero passati che da 4.461.184 nel 1926 a 5.500.000 nel 1962. Come abbiamo visto, invece (p. 140) al tasso annuale medio di aumento naturale, non vi possono essere meno di 6.067.210 ebrei viventi negli Stati Uniti, e al tasso del professor Shalom Baron do-
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vrebbero essere 6.745.310 (esattamente: 6.745.312, contando i due emigrati, Hannah Arendt e Robert Kempner, ma senza contare gli altri che fanno assai meno rumore e sui quali possediamo ben minori notizie). Tra i paesi extra-europei nei quali il Movimento sionista internazionale ammette nel 1962 una popolazione ebraica superiore al suo accrescimento naturale in rapporto a quella che era nel 1926, ho notato soltanto l’Argentina, il Canadà, il Brasile e l’America del Sud; per questi quattro paesi, ecco la statistica che si potrebbe stabilire:

   1926  Aumento naturale 36%  1962
Normale
 1962
Ammesso
 Immigraz. compreso aumento naturale
 Argentina 240.000 86.400 326.400 450.000 123.600
Canadà 170.000 61.200 231.200 254.000 22.800
Brasile 40.000 14.400 54.400 140.000 85.600
Africa d. Nord  60.000 21.600 81.600 110.000 28.400
Totali 510.000 183.000 693.600 954.000 (1) 260.400

(1) Il totale permette di ammirare ancora una volta la serietà delle statistiche di fonte ebraica. Per l’Argentina, il Canadà, il Brasile, il totale è: 844.000. Ora, esistono anche altri ebrei negli altri paesi americani: Messico (70.000), Uruguay (60.000), Cile (15.000), ecc… Totale dunque per questi sei paesi: 844.000 + 70.000 + 60.000 + 15.000 = 989.000. E per tutto il continente americano, la stessa statistica dà un totale di 6.300.000 che il The Jerusalem Post Weekly (19-4-63 op. cit.) si compiace di mettere in evidenza. Se da questo totale per tutto il continente si detraggono questi 989.000, resta per gli Stati Uniti: 6.300.000 – 989.000 = 5.311.000 e non 5.500.000 come lo pretende il comunicato dell’Institute of Jewish Affairs di Londra e il World Almanac del 1963 (p. 140). A questo si arriva, a forza di voler nascondere il totale reale della popolazione ebrea negli S. U. e anche di scrivere senza riflettere!

Defalcato l’aumento, non si deve esser lontani dai 200.000 emigranti di origine europea per questi quattro paesi. A condizione che le cifre rese pubbliche dal Movimento sionista internazionale siano esatte, per il 1962, e sarebbe sorprendente che lo fossero. Se lo sono, ci rimangono ancora: 3.367.740 – 200.000 = 3.167.740 da ripartire. Per riuscirvi, bisognerebbe fare, per tutti i paesi del mondo, gli stessi calcoli fatti per l’Argentina, il Canadà, il Brasile e l’America del Sud, ma non è possibile poiché questi sono i paesi a proposito dei quali il Movimento sionista internazionale fornisce delle cifre che accusano una immigrazione.
Ma se questi 3.167.140 ebrei che erano ben vivi nel 1945 non sono più in Europa, e non sono in Israele, devono pur essere da
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qualche altra parte, assieme a quelli di cui si sono naturalmente accresciuti, dopo.
Dove? Per poterlo dire bisogna qui, ancora, attendere le nuove rivelazioni che gli incoscienti chiacchieroni in vena di pubblicità del Movimento sionista internazionale non tarderanno a fare sbadatamente un giorno o l’altro. In questa attesa, non si possono fare che congetture, e questo non è il mio genere. Mi permetterò dunque di dire solamente quali sono i principi di base che definiscono l’orientamento secondo il quale proseguono le mie ricerche, alle quali continuo a dedicarmi, e che sono gli stessi che mi hanno guidato fino ad ora.
1. Non è probabile, ma è possibile, che nell’agosto 1945, data alla quale Poliakov ci dice (Il III Reich e gli ebrei, op. cit. p. 196) che le comunitá ebree avevano proceduto all’inventario delle loro perdite per conto del giudice Jackson si erano trovati solamente 3.768.100 superstiti (cfr. p. 182) secondo il Centro di documentazione ebraica, oppure 4.250.000 secondo R. Hilberg (cfr. p. 182). Se dico che è possibile, è per due ragioni: il caos delle displaced persons che a quell’epoca rappresentava l’Europa, e che rendeva impossibile ogni censimento serio; e il metodo usato dalle comunità ebraiche che, ovunque, censivano esclusivamente gli ebrei della nazionalità del rispettivo paese, rendendo i risultati davvero aberranti.
2. Anche ammettendo che questo risultato non sia aberrante (il che è da escludere), è certo che, se tutti gli ebrei che avevano abbandonato l’Europa dal 1931 al 1945 non vi erano rientrati nell’agosto del 1945, molti di loro vi sono ritornati posteriormente, almeno nell’Europa occidentale; per la parte dell’Europa oltre la Cortina di ferro, si può ritenere come certo che coloro che vi hanno fatto ritorno non costituiscono che l’eccezione. Tipico a questo proposito il caso della Francia: 300.000 ebrei nel 1939; da 450.000 a 500.000 alla fine del 1962 dopo che 130.000 ebrei algerini e circa 20.000 ebrei marocchini e tunisini vi furono venuti a cercare rifugio appena questi tre paesi hanno ottenuto l’indipendenza; quindi da 300.000 a 350.000 nazionali francesi nel 1962 è una cifra normale in rapporto alla sua popolazione del 1939. Ma la statistica del Centro di documentazione ebraica continua a sostenere di fronte a tutti: 180.000 nel 1945 + il tasso di aumento naturale del 16% = 208.800 (216.000 se si applica il tasso di aumento naturale di quella vecchia conoscenza del professore Shalom Baron… ). Con molte probabilità se ci si desse da fare, si potrebbero fare constatazioni dello stesso genere per il Belgio (dove sono ritornati, in più, da 20.000 a 25.000 ebrei del Congo), l’Olanda, l’Austria, ecc… e fors’anche la stessa Germania. Perciò tutti questi ebrei che sono tornati in Europa posteriormente al mese di agosto del 1945, dei quali non si potrà conoscere l’esatto numero fino a quando il Movimento sionista internazionale rifiuterà di comunicarcelo spontaneamente (poiché per non “provocare la collera di Dio” (sic) egli si oppone a ogni
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censimento ufficiale) sono certamente qualche centinaio di migliaia, che figurano nel numero di questi 3.268.471 che nessuna fonte ebraica ci permette di situare in qualche luogo.
3. Il problema degli ebrei polacchi, baltici e romeni che, durante gli anni 1941-42, sono stati evacuati verso l’Asia centrale e che, se si deve credere al giornalista ebreo David Bergelson, sarebbero stati da 2.000.000 a 2.200.000 nel 1942, essendovi 3 milioni di ebrei in Russia nel 1939, e che alla fine del 1942 erano arrivati — secondo lui — a circa 5.200.000. Quanti di costoro vivono ancora nell’Asia centrale (leggi: Siberia) con la progenitura? Dove sono andati? Tutto lascia credere che quelli che sono riusciti a scappare clandestinamente hanno raggiunto il continente americano, il più facile, per loro, da raggiungere. A loro riguardo, mi viene in mente un’ipotesi che vale quello che vale e che mi guarderei bene dal dare come certezza: è possibile che in 16 anni la metà di loro sia riuscita, a prezzo di difficoltà senza numero, a lasciare l’Asia centrale per il continente americano. In questo caso, dato che il Movimento sionista internazionale non li situa né in Argentina, né in Brasile, e nemmeno nel Canadà, né in alcun altro paese di questo continente, devono per forza essere negli Stati Uniti, e la statistica che potrebbe essere stabilita per la Russia e per gli Stati Uniti si presenterebbe nel modo seguente:

a) RUSSIA
Ritrovati vivi da R. Hilberg nel 1945 …………………………2.600.000
— Vivi nell’Asia centrale secondo D. Bergelson …………..+ 2.200.000
…………………………………………………………………………………———-
…………………………………………..Totale nel 1945 ……………..4.800.000
— Sarebbero riusciti a lasciare l’Asia centrale per gli
Stati Uniti ……………………………………………………………..– 1.100.000
………………………………………………………………………………….———-
— Rimasti in Russia………………………………………………….. 3.700.000
— Aumento naturale del 16% dopo il 1947 ……………………+ 592.000
…………………………………………………………………………………..———-
………………..Nel 1962: totale in Russia …………………………4.292.000

b) STATI UNITI
— Statistica del 1926……………………………………………….. 4.461.184
— Aumento naturale del 36% dopo il 1926 ………………+ 1.606.026
………………………………………………………………………………..———-
……………………….Totale nel 1962 ……………………………….6.067.210
— Sarebbero venuti dall’Asia centrale
dopo il 1946 ……………………………………………………………1.100.000
— loro tasso di aumento naturale 16% ……………………………176.000
…………………………………………………………………………………..———-
Totale: ……………………………………………………………….. + .1.276.000
………………………………………………………………………………….———-
………………………………….Totale nel 1962……………………. 7.343.210

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Ma questo totale di 7.343.210 non comprende che l’immigrazione venuta dall’Asia centrale e non include coloro che come Hannah Arendt e Robert Kempner sono venuti da un’altra regione d’Europa, e dei quali si può affermare che sono comunque più di due… Quanti di questi ultimi non si sa, o meglio, non si sa ancora. Tutto ciò che si può dire, è che ci sono, e che la popolazione degli Stati Uniti è certamente superiore a 7.344.210 persone. Ma si può anche affermare con certezza che quando il National Observer (op. cit. 2-7-1962) sostiene che nel 1962 vi erano negli Stati Uniti 12.000.000 di ebrei, esagera nel senso opposto, evidentemente ispirato da un antisemitismo ugualmente sfrontato come il sionismo; ma non sarei però sorpreso se, un giorno, per inavvertenza, un “sommo genio” sionista venisse a mettere in evidenza che nel 1962 vi erano negli Stati Uniti circa 8 milioni di ebrei.
Ripeto: si tratta di congetture, non di certezze: una ipotesi di lavoro, di cui abbisognano tutti i ricercatori come base di partenza per le loro indagini e che orienta le mie. Per me è tanto più verosimile e esprime tanto più la mia profonda convinzione, perché fino ad ora, non solo non mi ha condotto in nessun vicolo cieco, e a nessun errore, ma mi ha permesso di annunciare con dieci anni di anticipo… le conclusioni che si possono dedurre dalla Sentenza di Gerusalemme e dallo studio di The Jewish Communities of the World.
4. Qui si tratta di una considerazione che è molto prossima alla certezza, per lo meno a livello dell’ordine di grandezza: la popolazione ebraica mondiale nel 1962. Servendosi di statistiche che datano per ogni paese del mondo sia al 1926, sia al 1927, sia al 1928, a seconda dei casi, Arthur Ruppin la stimava complessivamente a 15.800.000 persone. Abbiamo visto (p. 101) che il World Almanac del 1951 la valutava a 16.643.120 nel 1939: il tasso naturale di aumento degli ebrei europei essendosi considerevolmente abbassato nel periodo tra il 1925 e il 1939 (Poliakov dixit, cfr. qui sopra p. 176), confrontata con quella di A. Ruppin, questa valutazione è ammissibile. Ecco dunque lo stato della popolazione ebraica mondiale del 1962, se la si calcola in base ai dati corretti del Centro di documentazione ebraica:
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— Popolazione ebraica mondiale nel 1939 …………………..16.643.120
— Vittime del nazismo …………………………………………….– 1.593.292
………………………………………………………………………………….———–
…………………………Rimanevano nel 1945 (46) ……………..15.049.828
— Aumento nat. del 16% dopo il 1946 ……………………….+ 2.407.972
………………………………………………………………………………….———–
……………………………Totale nel 1962 (47)…………………… 17.457.800

Ed eccola calcolata sui dati corretti di Raul Hilberg:

— Popolazione ebraica mondiale nel 1939 ……………………..16.643.120
— Vittime del nazismo …………………………………………………..1.003.392
……………………………………………………………………………….—————
……………….Rimanevano nel 1945 (46)…………………………. 15.049.828
— Aumento naturale del 16% dopo il 1946 …………………….+ 2.502.356
…………………………………………………………………………………….———–
…………………………………..Totale (47) ……………………………..18.142.084

Ed eccoci al termine dello studio. Non mi resta che presentare le mie scuse al lettore. Queste ricerche sono evidentemente lunghe e di lettura difficile da seguire: come tutto ciò che ha carattere tecnico. Ma uno studio demografico può avere solamente carattere tecnico. Ciò di cui il lettore mi deve scusare è di aver pensato che, fino ad ora, gli avversari (fra i quali annovero me stesso) delle tesi ufficiali sugli orrori della guerra erano stati capaci soltanto di opporre argomenti da giornalisti, spesso vaghi e pretestuosi, che questa era la causa principale dei loro insuccessi, che bisognava finirla con questo metodo e che, per finirla con qualche speranza di successo, il solo mezzo era di opporre loro degli argomenti da specialista.
Cosi è stato fatto.

Note
(46) “Dai 15 ai 18 milioni nel 1947”, aveva detto Hanson W. Balwin.
(47) Non si deve dimenticare che questo totale è quello che risulta dallo studio delle statistiche di fonte ebraica, cioè, tali quali sono state rese pubbliche dal Movimento sionista internazionale e dal Rabbinato dopo un’inchiesta nelle sinagoghe. Ma se è vero, come sostiene Arthur Koestler (All’ombra de! Dinosauro, op. cit.) che non più di 2/3 degli ebrei del mondo è iscritto nelle sinagoghe, si può pensare che questa cifra deve essere corretta in aumento, nella stessa proporzione.

Paul RASSINIER, Il Dramma degli ebrei, Edizioni Europa, Roma, 1967.
Edizione francese: Le Drame des juifs européens, Paris, 1964, Sept Couleurs; rééd.: Paris, La Vielle Taupe, 1984.

 

( Fonte: www.vho.org )

IL DRAMMA DEGLI EBREI – Capitolo 3 (2/2) – Paul Rassinier

8 Nov

CAPITOLO III (2/2)

 

STATISTICHE: SEI MILIONI 0…?

 

 

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impedisce a Raul Hilberg di farne figurare solamente 200.000 nella colonna dei sopravvissuti, nella sua statistica. Non bisogna tuttavia credere che la differenza, ossia 470.000 – 250.000 = 220.000 sia stata deportata. Di questa differenza, omessa la sua indicazione di “52.000 di cui 6.000 di nazionalità francese” alla fine dell’estate 1943, Hannah Arendt non ci fornisce alcuna informazione. Ma il Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea dice che furono deportati dalla Francia in tutto 120.000 ebrei, senza precisare il numero di quelli di nazionalità francese; il che non le impedisce, quando fa il conto dei superstiti, di dichiarare perentoriamente che 470.000 – 120.000 = 180.000, come si vedrà nella tavola riassuntiva per la Francia, il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo. Molto semplicemente ha calcolato questa differenza unicamente sul numero di quelli che esistevano in Francia nel 1939, senza tener conto dell’immigrazione.
Ecco il quadro, suo, per il Belgio: i 40.000 che seno fuggiti in Francia davanti all’invasione tedesca + 25.000 stranieri che, dice, sono stati quasi tutti deportati o sterminati + i 50.000 che il Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea ha ritrovati viventi nel 1945 = 115.000. Ma le statistiche di fonte ebraica non danno che 90.000 ebrei, nel Belgio nel 1939. Precisazione importante: nessun ebreo belga è stato deportato perché, è sempre Hannah Arendt che l’afferma, vedete che tipo! — in Belgio non vi era Consiglio Ebraico (Judenrat) che li registrasse e li destinasse alla deportazione. Invece gli ebrei stranieri in Belgio, lo sono stati: erano quasi tutti polacchi o russi e il loro comportamento li indicava alle autorità germaniche a prima vista, sempre secondo la Arendt.
E per l’Olanda: i 40.000 che sono fuggiti in Francia + 118.000 che sono stati deportati (e naturalmente sterminati) + 60.000 superstiti trovati vivi dal Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea nel 1945 = 218.000. Ma secondo le fonti ebraiche, in Olanda non vi erano che 10.000 ebrei, nel 1939.
Per il Lussemburgo: 3.000 ebrei nel 1939, 2.000 deportati e sterminati = 1.000 nel 1945.
Se dunque si compila un quadro riassuntivo per i quattro paesi, in data 1945,ecco come si presenta

LA DEPORTAZIONE DEGLI EBREI DELL’OCCIDENTE

 PAESI  1939  1940(1)  Deportati  Sopravvisuti nel 1945
realmente
 Sopravvisuti nel 1945
+ o –
 Sopravvisuti nel 1945 ufficialmente  ufficialmente sterminati
 Francia   300.000  470.000  120.000 (2)  350.000  + 50.000  180.000  120.000
 Belgio  90.000  115.000  25.000  90.000  =  50.000   40.000
 Olanda  150.000  218.000   118.000  100.000  – 50.000   60.000  90.000
 Lussemb.  3.000 3.000 2000  1000  -2000  1000  2000
 TOTALE  543.000  806.000  265.000  541.000  – 2.000  291.000  252.000

(1) In realtà per l’anno 1940 dovrebbero figurare due colonne in questa tavola: una con i dati precedenti l’invasione dell’Olanda e del Belgio
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(primavera) ed è questa, e una con i dati dopo questa invasione e che darebbe 40.000 ebrei belgi e 40.000 ebrei olandesi fuggiti in Francia. Essa si presenterebbe allora cosi: 75.000 ebrei in Belgio, 178.000 in Olanda e 550.000 in Francia nel luglio 1940. Il totale generale per i 4 paesi non ne risulterebbe mutato, né gli altri dati del problema, né le circostanze, e non è stato giudicato utile complicare calcoli che avrebbero portato allo stesso risultato e alle stesse conclusioni.
(2) Io ripeto che la decisione del Tribunale di Gerusalemme non ha cercato di giustificare che 52.000 deportati dalla Francia, e non tutti francesi, alla data del 21 luglio 1943.

Poiché un certo numero di ebrei fu arrestato in Francia, in Belgio, in Olanda e nel Lussemburgo durante la guerra, 225.000 di loro vennero sterminati nei campi di concentramento, ove erano stati deportati; a guerra finita ne rimanevano 541.000, nei quattro paesi, ossia solamente 2.000 meno che nel 1939. Non è una mia affermazione. Ma sono le cifre di Hannah Arendt e del Centro mondiale di documentazione ebraica. Senza sapere, né come né perché, quando si tratta di concludere, partendo da queste cifre, il Centro,che ha rango di portavoce ufficiale, decreta che non sono rimasti che 291.000 superstiti. Nella colonna degli eliminati, egli trova una cifra approssimativa: 252.000.
Senza dubbio per distinguersi e dare prova di originalità, Raul Hilberg, sempre personalissimo, ammette 261.000 superstiti e 242.000 sterminati, naturalmente senza darne la minima spiegazione, e partendo dalle medesime cifre. Lo segue al passo Hannah. Arendt, concludendo. In Eichmann’s confederates and the Third Reich Hierarchy (op. cit. p. 59), l’Istituto per gli Affari ebraici del World Jewish Congress trova 261.000 sopravvissuti e 292.000 sterminati. Dunque, tutti d’accordo, salvo qualche sfumatura.
Il meccanismo di questa operazione, di spaventosa grossolanità, che si incontra nei calcoli di tutta questa gente, è, del resto, piuttosto semplice, se non semplicistico. Nel 1945, immediatamente nei giorni che seguirono la tempesta, si suppone che le comunità ebraiche di ogni paese siano state invitate a comunicare le loro perdite abbastanza rapidamente perché il giudice Jackson ne potesse fare riferimento nell’Atto d’accusa del Processo di Norimberga; poiché, per dichiarare (Nor. T. Il p. 128) che: “si stima in tutta conoscenza di causa” (33) ecc… (cf. p. 99), benché uomo poco scrupoloso, è certo che si è basato per la sua opinione su qualche cosa, anche se non dà spiegazioni, e questo qualcosa poteva essere solamente un’informazione di tale fonte — queste
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perdite sono state calcolate dalle comunità ebraiche, non in funzione di tutti gli ebrei sopravvissuti nel paese, ma unicamente in funzione di quelli che possedevano la nazionalità e facevano parte dei loro membri, nel 1939. Alle comunità degli altri paesi il compito di tenere conto degli ebrei di nazionalità diversa, che avevano sotto controllo. Ma lo stesso procedimento è stato praticato in tutti gli altri paesi europei, e nel caso presente ne segue che: 541.000 – 291.000 = 250.000 ebrei non furono considerati come sopravvissuti in nessuna parte, e ovunque, invece, nelle statistiche vennero segnati nella colonna degli sterminati. Con simile procedimento moltiplicato per il numero dei paesi, si è dimostrato che sei milioni di ebrei europei sono stati sterminati.
Perché per questi quattro paesi, non vi sono soltanto quelli esaminati in simile caso: vi sono anche coloro che, pur possedendone la nazionalità, non vi erano ancora ritornati — molti non vi hanno più fatto ritorno — quindi non erano presenti al momento in cui fu compilato questo inventario truccato. Non essendo presenti, sono stati considerati sterminati. Mentre invece la maggior parte di loro era emigrata. Nel 1945, non era possibile dimostrarlo, ma oggi, si. Sappiamo, ad esempio — non fosse che per le informazioni della coppia Hilberg-Arendt –, che all’arrivo delle truppe tedesche, nel Belgio, non vi rimanevano più di 5.000 ebrei in possesso della nazionalità, e che poiché nessun Consiglio ebraico li ha denunciati ai tedeschi, nessuno di loro è stato arrestato (Hannah Arendt, op. cit.). Da ciò si può dedurre:
– dato che nel 1926 ve ne erano 60.000 (Arthur Rappin dixit), dunque non lontani dai 70.000 del 1939, tasso d’aumento naturale compreso, non sono 40.000 i fuggiti in Francia, come dice l’Arendt, ma dai 60.000 ai 65.000. Questa eccellente donna che prende tutto a prestito, rende tutto ma senza verificare il denaro;
– quando il Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea fa figurare 40.000 ebrei belgi nella colonna degli sterminati, compie un’abominevole truffa.
Stessa cosa per la Francia. Sappiamo che alla fine dell’estate del 1943 solamente 6.000 ebrei, in possesso della nazionalità, erano stati deportati. Una volta ancora la coppia è d’accordo. Per il periodo che corre dalla fine dell’estate del 1943 alla fine della guerra, nessun dato preciso, per quanto mi risulta, è stato reso pubblico. Ma Poliakov (Il III Reich e gli Ebrei), Michel Borcwicz (“Le soluzioni finali alla luce di Auschwitz-Birkenau”nella Rivista di Storia della seconda guerra mondiale, ott. 1956) e Joseph Billig (L’incartamento Eichmann) dicono tutti che fu nel corso dell’anno 1942 che il maggior numero di ebrei fu arrestato e deportato, per concludere con la formula di un ammirevole gesuitismo che: “in totale circa 120.000 ebrei sono stati deportati dalla Francia”. Ma se il maggior numero di ebrei francesi deportati è stato di 6.000, vi sono poche probabilità che aritmeticamente il numero totale superi 11.999. Poiché, essendo aritmeticamente il numero più grande 6.000, il più
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piccolo non può essere superiore a 5.999. Domanda: dove sono passati gli altri 110.000 circa (minimo 108.000) che figurano tra i 120.000 sterminati francesi, quando è sicuro che essi non furono nemmeno arrestati e a più forte ragione deportati? Se rispondo che avevano abbandonato la Francia, non credo mi si potrà accusare di congettura. Poiché, se non sono stati deportati e dunque non sterminati, e se non c’erano più, bisogna pure che siano andati da qualche parte.
Il maggior numero di ebrei di nazionalità olandese, è proprio dall’Olanda che è stato deportato. Quanti? I dati contraddittori della tavola riassuntiva autorizzano due risposte ugualmente contraddittorie, delle quali ovviamente una è priva di valore:
– una: se 40.000 ebrei olandesi sono fuggiti in Francia da dove non sono stati deportati e dove nel 1945 non sono stati ritrovati, e se nel 1945 ne sono stati ritrovati 60.000 che sono sopravvissuti in Olanda, riferendosi alla statistica del 1939, sono 150.000 – (40.000 + 60.000) = 50.000 di quella nazionalità che sono stati veramente deportati e non sono tornati da questa deportazione — almeno sino al 1945;
– l’altra: se, dei 534.000 considerati in blocco dalla statistica complessiva per i quatro paesi e che vivevano nel 1939 in questi paesi, 291.000 in possesso di una di queste quattro nazionalità sono stati trovati nel 1945, vuol dire che 541.000 – 291.000 = 250.000 di costoro non possedevano nessuna di quelle nazionalità, erano stranieri e vi erano stati sostituiti uno per uno da 250.000 ebrei francesi, belgi, olandesi o lussemburghesi, che non vi erano stati arrestati, e tuttavia non c’erano più. Da fonte certa, figuravano tra loro almeno 108.000 francesi e 60.000 belgi. Vi erano poi 1.000 lussemburghesi ufficialmente presenti. Dunque un massimo di 250.00 – (108.000 + 60.000) = 81.000 ebrei olandesi. Nella colonna dei deportati non ritornati nel 1945 ne figuravano allora: 150.000 – 81.000 = 69.000. E questa è la sola verità che può essere data come verificata dalle stesse fonti ebraiche riguardo ai dettagli forniti. Che lo sia anche riguardo alla realtà, è un’altra storia. E che questi 69.000 deportati olandesi siano stati sterminati, è ancora un’altra storia: in tutti i casi ciò è ben lungi dall’essere stabilito, perché bisognerebbe che nessuno fosse ritornato dalla deportazione, il che è insostenibile, non solamente per l’Olanda, ma anche per la Francia e il Lussemburgo. Per il Belgio non vi sono problemi perché nessun ebreo belga è stato deportato, salvo qualche eccezione.
Per la Francia, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda considerati in blocco, la conclusione che s’impone è la seguente: un massimo di 12.000 ebrei francesi + nessun belga + 69.000 olandesi + 2.000 lussemburghesi = 83.000 ebrei deportati secondo i dettagli forniti dalle fonti ebraiche e non 252.000 come le stesse pretendono, in blocco.
Quand’anche nessuno fosse ritornato, ciò che è da escludere, vi sarebbe ancora un’esagerazione di 252.000 – 83.000 = 169.000 ebrei
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da detrarre dalla colonna degli sterminati. Solamente per questi qualtro paesi.
Ma vi sono altre conclusioni che s’impongono:
riguardo a questi 250.000 ebrei di questi quattro paesi, che non essendo stati deportati e dunque non sterminati, non risultavano più nell’uno o nell’altro, nel 1945: delle due, l’una: o vi sono rientrati posteriormente al 1945 e, in questo caso, bisogna reincluderli nella popolazione ebraica europea, oppure non vi sono rientrati e allora bisogna reincluderli in quella dei paesi dove sono andati e dove sono rimasti. Poiché non sono dati da nessuna fonte ebraica come rientrati, bisognerà prendere in considerazione la seconda probabilità. Domanda: dove si trovano, allora? Negli Stati Uniti? Nel Canadà? Nell’Argentina? Nell’Africa del Nord o del Sud? Sarà possibile rispondere a questi interrogativi solo quando conosceremo il totale degli ebrei che sono riusciti a lasciare l’Europa, a mezzo di un esame complessivo della popolazione ebraica di tutti i paesi ove è aumentata, e a proposito dei quali non vi è che una sola incognita di fonte ebraica: gli Stati Uniti. Ad ogni modo, poiché questi 250.000, ufficialmente non rientrati in Europa, non possono averla lasciata che posteriormente al 1940, devono essere aggiunti ai 300.000 tedeschi + 180.000 austriaci che l’avevano abbandonata prima del 1940 = 730.000 emigranti europei:

730.000


— riguardo ai 250.000 ebrei che non possedevano la nazionalità di nessuno di questi paesi, che hanno rimpiazzato, uno per uno, i 250.000 del paragrafo precedente e che sono stati ritrovati viventi nel 1945: nella statistica dei paesi di provenienza, essi figurano nella colonna degli sterminati e per fare il conto aritmetico dei viventi e dei morti di questi paesi, la prima di tutte le operazioni necessarie, bisognerà reintegrarli come viventi. Ma, reintegrati nella statistica, non per questo saranno ritornati in questi paesi: ufficialmente nessuno vi è tornato; secondo la statistica infatti nessuno vi è ufficialmente reintegrato, e anche di fatto, poiché, ad eccezione della Germania occidentale, questi paesi sono oltre la Cortina di ferro. Per la medesima ragione perciò non si trovano più in Francia, nel Belgio, nell’Olanda e nemmeno nel Lussemburgo. La seconda operazione che s’impone sarà dunque di reintegrarli nella statistica dei paesi dove si sono recati, dopo averli determinati. Già fin d’ora è ad ogni modo possibile dire che ecco ancora 250.000 nuovi ebrei che hanno emigrato e quindi, al presente, mentre calcoliamo, abbiarno 730.000 (cfr. sopra) + 250.000 = 980.000 :

980.000


riguardo, infine, ai 265.000 ebrei arrestati in Francia, in Belgio, in Olanda, nel Lussemburgo:83.000 di loro, come abbiamo visto, possedevano la nazionalità di uno o dell’altro di questi paesi. Ne segue che 265.000 – 83.000 = 182.000 non erano in possesso di alcuna di queste quattro nazionalità. Come sopra, identico ragionamento: questi 182.000 devono apparire nella colonna degli sterminati
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(sarebbe più esatto dire: mancanti nel 1945) dei paesi di provenienza.
Per reintegrare correttamente questi 250.000 vivi dati per morti + 182.000 sterminati (che sicuramente non lo sono) = 432.000 ebrei nelle statistiche dei paesi di provenienza, è indispensabile prima conoscere questi paesi.
E’ esattamente possibile? Hannah Arendt si è lasciata dire da Raul Hilberg che essi erano “polacchi, russi, tedeschi, ecc…” (op. cit.). Non si vede chiaramente che cosa questo “ecc…” può nascondere: gli iugoslavi che volevano abbandonare l’Europa passavano dall’Italia, sia dalla Grecia, sia dall’Ungheria. Dopo l’Anschluss, gli austriaci si servivano tanto della via del Danubio quanto della Svizzera. La Cecoslovacchia si serviva ugualmente del Danubio via Ungheria, come precisa il dr. Kasztner. I russi potevano partire per Costantinopoli solamente, le rive del Caspio o il Birobidjan. Solo i tedeschi continuarono a emigrare, dopo la guerra, clandestinamente, attraverso l’Olanda, il Belgio o il Lussemburgo, essendo obbligati a superare il Reno se si trovavano sull’altra riva, e per loro era più facile in territorio tedesco che là dove diviene frontiera. Vi erano dunque dei tedeschi. In numero apprezzabile, senza dubbio, ma certamente non importante: solamente coloro che avevano lasciato la Germania posteriormente al settembre 1939 — gli altri, dice Chouraqui, avevano già lasciato l’Europa e, di loro, 120.000 si trovavano in Israele (a questi le armate tedesche, avendoli raggiunti e sorpassati — offensiva del maggio 1940 — avevano tagliato la strada dell’emigrazione libera). Restano i polacchi: per loro l’emigrazione veramente di massa era cominciata nella primavera del 1939, quando le cose iniziarono davvero a guastarsi tra l’Inghilterra e la Germania; e Belgio, Olanda e Francia essendo anche il loro itinerario — fino alla fino dell’agosto 1939, furono in grado di attraversare anche la Germania con passaporti polacchi — essi costituirono la quasi totalità di questi 432.000 ebrei che non erano né francesi, né belgi, né olandesi, né lussemburghesi, e si trovavano in uno o nell’altro di questi paesi nel malggio 1940…
Non dispongo di nessuna precisa informazione che mi permetta di ripartire esattamente questi 432.000 ebrei tra le varie nazioni ora citate, e come si deve poiché non vi potevano più essere conteggiati, di toglierli separatamente dalla statistica di fonte ebraica data per ognuna di esse al 1939 o di reintegrarli in quella del 1945, facendo la divisione dei morti e dei vivi. Con questa eccezione: tutti quelli di loro che non erano polacchi, o tedeschi, rappresentavano delle eccezioni, ossia una quantità trascurabile. Gli stessi tedeschi vi costituivano un debole contingente: 20.000, 30.000, 40.000 forse, non si può sapere. Ad ogni modo sempre cifre di questo ordine. Quindi erano possibili due metodi:
– studiare globalmente la popolazione ebraica di tutti i paesi sopra citati, detraendo subito all’inizio queste 432.000 persone
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dalla statistica del 1939 e, alla fine dei calcoli compiuti, aggiungendo alla data del 1945 i 182.000 che sono stati arrestati, nella colonna corrispondente. Dato che noi ricerchiamo gli ebrei europei, non gli ebrei per nazionalità, aritmeticamente e a questo livello, nessun errore sarebbe commesso. Ma vi si oppongono due circostanze: la ripartizione degli ebrei polacchi nella zona russa e in quella tedesca dopo l’invasione germano-russa, e la loro emigrazione in direzione dell’Ungheria che, calcolate ambedue facendo astrazione di una massa così importante come 350.000 o 400.000 ebrei polacchi, non poteva portare che a risultati il cui carattere aberrante per quel che riguarda la Polonia non avrebbe mancato di ripercuotersi moltiplicandosi su scala europea;
– oppure, dato che questi 432.000 ebrei erano polacchi nella loro enorme maggioranza, considerarli aritmeticamente come tutti polacchi, reintegrarli soltanto nella statistica polacca: alla fine dei calcoli, i risultati non venivano falsati che dai 20.000, 30.000 o 40.000 di quelli che di loro non erano polacchi, ma l’errore non superava in totale una o due decine di migliaia di persone sul piano delle nazionalità e, d’altra parte, aritmeticamente, esso si trovava automaticamente e esattamente corretto, sul piano della popolazione ebraica europea, per un errore in senso inverso esattamente corrispondente, se io decidevo di non tenere ugualmente conto di questi 20.000, 30.000 o 40.000 nello studio della popolazione ebraica tedesca.
Ho adottato il secondo metodo: l’infantile soluzione di un problema, a mezzo del ben noto procedimento della falsa supposizione.
Data l’indispensabile spiegazione per la comprensione di quanto segue, passiamo ai dettagli…

POLONIA

Arthur Ruppin dice che in Polonia vi erano, nel 1926, 3.100.000 ebrei. Nel 1939, ve ne erano 3.300.000, dicono il Centro mondiale di documentazione ebraica e l’Institute of Jewish Affairs di New York; Raul Hilberg aggiunge poi la maggiore cifra di 3.350.000. Certamente in periodo normale la popolazione ebraica polacca sarebbe passata da 3.100.000 a 3.350.000. Ma è insensato il pensarlo possibile, perché essa era in sensibilissimo stato di migrazione dal 1932. Dunque diciamo: 3.100.000 nella primavera del 1939, quando cominciò l’imigrazione di massa. Noi abbiamo deciso che aritmeticamente 432.000 si trovavano in cammino per l’Olanda, il Belgio, e la Francia al momento in cui questi paesi furono invasi dalle truppe tedesche. Avrebbero dunque dovuto restare, al momento dell’invasione della Polonia: 432.000 – 3.100.000 = 2.668.000. Ma in realtà ve ne erano meno, perché ebrei polacchi avevano tentato an-
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che loro di raggiungere la via del Danubio: il Rapporto Kasztner, abbiamo visto, dice che un certo numero di essi si trovava ancora in Ungheria il 19 marzo 1944, mescolati a cecoslovacchi e a polacchi. E fu solamente il 19 marzo 1944, quando vi fu l’invasione dell’Ungheria, che essi sono caduti sotto i tedeschi, che hanno tagliato loro la strada. Quanti?
Ma, anzitutto, quanti per le tre nazionalità globalmente? Il dr. Kasztner (op. cit.) precisa che vi erano in Ungheria 800.000 ebrei, press’a poco in permanenza dopo l’inizio della guerra. Arthur Ruppin ne aveva censiti 320.000. Con l’aumento naturale, questi 320.000 erano divenuti 320.000 + 13% = 361.000 nel 1939, e non 404.000 come pretende il Centro mondiale di documentazione ebraica. Insomma polacchi, cecoslovacchi e iugoslavi, tutti assieme rappresentavano 800.000 – 361.000 = 438.400 persone. E in particolare, per ognuna delle tre nazionalità:
1. Cecoslovacchi: le statistiche stabilite dal tedesco Korherr (già citato) per la Conferenza di Wannsee — che si doveva tenere il 9 dicembre 1941 e non potè essere tenuta che il 20 gennaio 1942 (cfr. “Protocollo di Wannsee”in Eichmann e complici di Robert Kempner, op. cit.), dunque prima che iniziassero le imprese di deportazione degli ebrei — dicono che in Boemia Moravia ne rimanevano ancora 74.200, essendo gli altri fuggiti in Slovacchia allo smembramento della Cecoslovacchia (1938-’39) e 88.000 in Slovacchia. La statistica di Arthur Ruppin per l’anno 1926 dice: 260.000. Aggiungendovi l’aumento annuale medio dell’l% conservato per tutto questo studio, si ha: 260.000 + 13% = 293.800 nel 1939 e non 315.000. Ciò significa che in Ungheria dove, proseguendo il loro cammino, erano fuggiti, potevano esservi 293.800 – (74.200 + 88.000) = 131.600 ebrei cecoslovacchi.
2. Iugoslavi: da Raul Hilberg, Hannah Arendt sa che, quando Hermann Krumey arrivò a Zagabria alla fine del 1943, trovò un certo numero di ebrei nel paese, e ne deportò 30.000. Su ciò tutte le informazioni di fonte ebraica sono d’accordo. Il Protocollo di Wannsee ne dichiara 40.000 alla fine del 1941. Gli altri erano fuggiti in Italia e in Ungheria. In totale vi erano in Iugoslavia 75.000 ebrei nel 1926, dice Ruppin, e questa cifra è accettata dal Centro mondiale di documentazione ebraica: può darsi, dopo tutto, che l’emigrazione ebrea iugoslava sia stata eguale all’aumento naturale, poiché si tratta di un paese dove sempre, non soltanto gli ebrei ma tutti i gruppi etnici, sono stati numericamente assai mobili. La differenza, ossia: 75.000 – 40.000 = 35.000, ha potuto equamente distribuirsi tra l’Italia e l’Ungheria, ossia 17.500, più o meno, da una parte e dall’altra. Il Centro mondiale di documentazione ebraica nel 1945 ne aveva trovati 20.000, il che significherebbe che dei 40.000 deportati da Krumey, 20.000 sono ritornati dai campi di concentramento dove erano stati inviati, e il 50% sono morti in questi campi.
3. Polacchi: 438.400 – (131.600 cecoslovacchi + 17.500 iugoslavi) = 289.300. Senza contare coloro che, con o senza passaporto,
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vero o falso, che era stato consegnato loro dal Comitato di Salvezza di Budapest (Joël Brand dixit) erano riusciti a lasciare la Polonia poi l’Ungheria, dopo il 1939.
Conclusione: sono rimasti in Polonia, sotto sequestro germanico-russo: 2.668.000 – 289.300 = 2.378.700 ebrei ed è questo numero che si è ripartito parte nella zona tedesca, parte in quella russa, non 3.100.000, 3.300.000 o 3.350.000.
Domanda conseguente: Come si sono ripartiti questi 2.378.700 ebrei, nelle due zone? Con la bella incoscienza che sembra interdirgli assolutamente di fare le operazioni più semplici con esattezza, Raul Hilberg, che trova 3.350.000 ebrei polacchi in data 1939, ne destina 2.100.000 nella zona tedesca e in quella russa 1.200.000. Per quello che si riesce a comprendere. Stima priva di valore: in funzione di quanto precede e che storicamente quanto demograficamente è irrefutabile, non resiste all’esame.
Allora quanti da una parte e quanti dall’altra? Per rispondere il più esattamente possibile, è necessario tener conto di due elementi: la fuga degli ebrei davanti all’avanzata in Polonia delle truppe tedesche e le misure prese contro di loro a cominciare dal luglio 1940.
Gli ebrei belgi e quelli olandesi sono fuggiti davanti ai tedeschi, così quelli polacchi, sia in direzione dell’Ungheria, sia nella zona polacca destinata ad essere occupata dai russi. In quale proporzione in direzione di quest’ultima, sarà possibile determinarlo, sembra, riuscendo a calcolare il numero di quelli che non hanno potuto raggiungerla. Senza dubbio un numero considerevole è fuggito, perché durante un certo periodo di tempo vi fu una politica tedesca che consisteva nel consegnare ai russi gli ebrei della zona destinata alla Germania; e questo è attestato da due testimoni a carico al Processo di Gerusalemme: Zwi Patcher e Yacov Goldfine, che l’hanno dichiarato alla sbarra il 1. maggio 1961. Ecco la dichiarazione del primo:

“Ci avevano preso tutti i gioielli e tutto il denaro. Poi incolonnati per quattro fummo inviati versol’Est. Era dicembre. Faceva freddo, piovigginava, e noi tremavamo. Quando uno di noi cadeva per la fatica, veniva condotto in disparte e un colpo di pistola metteva fine alle sue sofferenze.
Ma, proibizione agli altri di girare la testa, diversamente anche loro venivano uccisi. Dopo tre giorni il nostro infelice gruppo era stato ampiamente decimato. Arrivammo alla frontiera della zona d’occupazione sovietica in Polonia. I nostri carnefici ci avevano ordinato di appoggiare le mani sulla testa e di gridare: “Viva Stalin!” Ma le sentinelle ci respinsero in una località tedesca dove, infine, fummo abbandonati a noi stessi. Durante la notte, attraversammo la frontiera per raggiungere un piccolo villaggio situato in zona russa dove fummo ospitati dai nostri correligionari” (Le Figaro, 2 maggio 1961).

Il secondo fece una dichiarazione analoga.
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Aiutati, sia pure in modo tanto brutale, dai tedeschi a raggiungere la zona russa, gli ebrei polacchi dovevano essere in molti a riuscirvi.
La storia delle misure prese contro di loro è più precisa. Mary Berg ci racconta (Il ghetto di Varsavia, Parigi 1947), e Léon Poliakov che sembra avere l’informazione da lei, conferma (Il breviario dal’odio, op. cit.), che in Polonia i tedeschi si occuparono seriamente degli ebrei solamente quando le operazioni di guerra erano terminate all’Ovest, vale a dire durante il luglio 1940. Fino a quell’epoca, gli ebrei erano sorvegliati ed erano oggetto di beffe e di vessazioni innumerevoli, ma non erano assegnati a residenze obbligate: essi ne approfittarono per andare in Ungheria attraverso la Slovacchia. Dal giorno nel quale la costruzione del ghetto di Varsavia fu terminata (16 ottobre 1940) ciò fu loro possibile solo con grande pericolo: essi vi furono tutti costretti in domicilio coatto, e la caccia agli ebrei cominciò al fine di concentrarveli tutti. Ma nel 1941, la popolazione ebraica di Varsavia censita nel 1939 non era passata, in nove mesi, che da 359.827 abitanti a circa mezzo milione, tutta concentrata nel ghetto.
Conclusione: in tutta la zona tedesca, le autorità tedesche di polizia non ne avevano trovato che 140.000-150.000. Per sfuggire alle misure di concentrazione, gli ebrei si misero a scappare verso tutti gli angoli sperduti, nelle montagne e nei boschi. Scoperti erano, alla peggio, considerati come partigiani: vi furono combattimenti, durante i quali molti perirono. Ma, quand’anche i tedeschi che li inseguivano ovunque, fossero riusciti a recuperarne un quarto o un quinto durante questo periodo — per chi conosce i metodi della loro polizia è veramente un minimo, ma è verosimile: in Francia è a un risultato dello stesso ordine che essi arrivarono, quando dettero la caccia ai soggetti al lavoro obbligatorio — ciò non porterebbe ugualmente la populazione ebraica di tutta la zona del ghetto di Varsavia compreso che a circa 1.100.000. Dai 2.378.700 che costituivano la popolazione ebraica totale delle due zone, si aveva: 2.378.700 – 1.100.000 = 1.278.000 nella zona russa. Ammettendo che Raul Hilberg sapesse fare una sottrazione, questa cifra non si sarebbe trovata molto lontana dalla sua. Complimentiamolo. Rammaricandoci, comunque, che egli non abbia trovato un risultato altrettanto approssimato nella zona tedesca. Il caso è conosciuto per quanto è avvenuto degli ebrei passati oltre le linee russe: il giornalista ebreo David Bergelson dice (Die Einheit, 5-12-1942, op. cit.) che grazie alle misure di evacuazione, essi sono stati salvati per l’80% e trasportati nell’Asia centrale dalle autorità sovietiche (cfr. M. Maurice Edelmann, Ben Gurion, Ed. Presses de la Cité, 1958, p. 12). Quindi: 1.278.700 x 20 : 100 = 255.740 soltanto che sono caduti in mano tedesca e 1.278.700 x 80 : 100 = 1.022.960 che non vi sono caduti.
E nella zona tedesca? Sembra che in questo caso si possa riuscire a sapere qualcosa solo per differenza. Ecco da un lato
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1.022.960 sopravvissuti ritrovati nella zona russa. Dall’altro, nel 1945, il nostro celeberrimo professor Shalom Baron ha ritrovato 700.000 sopravvissuti per le due zone (dichiarazione alla sbarra del Tribunale di Gerusalemme, op. cit.). Totale dei non ritrovati nel 1945: 2.378.700 – (1.022.960 + 700.000) = 655.740 per tutta la Polonia, ma ai quali conviene aggiungere i 182.000 arrestati in Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo, ossia: 655.040 + 182.000 = 837.740. Da fonte ebraica, poiché non vi è cifra citata in questi calcoli che non lo sia. Che siano stati arrestati tutti, non è da discutere; che siano stati tutti sterminati è permesso dubitare.
Infine, totale dei sopravvissuti — poiché bisogna reintegrare nella statistica anche i 250.000 che nel 1945 sono stati ritrovati vivi in Olanda, Belgio, Lussemburgo e in Francia: 1.022.960 della zona russa + 700.000 del prof. Shalom Baron + questi 250.000 = 1.972.960 calcolati limitamente al totale degli ebrei che sono rimasti in Polonia dopo il 1939. Bisognerebbe ancora aggiungervi i superstiti di coloro che sono stati arrestati sia sulle vie dell’Ovest, sia in Ungheria: sfortunatamente non conosco alcun mezzo per fare un’esatta deduzione. Dunque totale approssimativo e minimo.
Ma, non lasciamo ancora la Polonia: Raul Hilberg vi ha trovato 50.000 superstiti, l’Institute of Jewish Affairs di New York, 400.000; il Centro mondiale di documentazione ebraica, 500.000; e dai calcoli fatti sui dati del prof. Shalom Baron inseriti nel suo storico testo — talvolta è perfino utile — risulta che ve ne furono effettivamente un minimo di 1.972.960.
Dal 1945, era possibile al Centro mondiale di documentazione ebraica fare questi calcoli facilmente: gli bastava domandare a tutte le comunità ebree la situazione dei loro effettivi per nazionalità, ed è quest’ultima che avrebbe dovuto figurare nella sua statistica. Avrebbe anche potuto farvi figurare gli ebrei polacchi deportati e ritrovati vivi in Ungheria, ciò che ci avrebbe risparmiato di fare tutti questi calcoli, se avesse onestamente riferito il risultato dei suoi accertamenti. In luogo di quella, per la Polonia dà 500.000 sopravvissuti soltanto. Ossia: 1.972.960 – 500.000 = 1.472.960 considerati come morti nelle statistiche europee ma che sono vivi e a questo titolo non figurano in nessuna statistica d’alcuno degli altri conti. Di quelli, al termine del nostro studio dei paesi dell’Ovest, ne avevamo già trovati 980.000. Eccoci dunque a:
980.000 + 1.472.960

2.452.960

RUSSIA

Per questa nazione non occorrono molte spiegazioni, la situazione è chiarissima. Raul Hilberg, che alla data del 1939 trova 3.020.000 ebrei, conclude che 420.000 furono sterminati e 2.600.000 son sopravvissuti. Ruppin ne trovava 3.000.000 nel 1926. L’emigrazione tra il 1926 e il 1939 avrebbe corrisposto all’aumento naturale, il che
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appartiene al dominio delle cose possibili, dato lo stato di emigrazione endemica nella quale sono da sempre. Se ci si riferisce a David Bergelson, otteniamo 3.000.000 x 80 : 100 = 2.400.000 superstiti certi e 600.000 mancanti alla data del 1945. Poiché Raul Hilberg trovava 420.000 sterminati, vuol dire che se 600.000 sono caduti in mani tedesche, allora 600.000 – 420.000 = 180.000 non sono stati sterminati — forse nemmeno arrestati e deportati; ma nel caso lo fossero, sono ritornati dai campi dove erano stati internati. La percentuale degli sterminati in quest’ultimo caso sarebbe del 70% (420.000 su 600.000) e quella dei superstiti: del 30%. E’ sempre spaventoso. Il Centro mondiale di documentazione ebraica trova 1.500.000 di sterminati (nella zona tedesca; nessuno nella zona russa), il che significa 1.500.000 sopravvissuti, ma per suscitare sensazione, dice 600.000 per la zona tedesca, in forma tale che il lettore crede trattarsi delle due zone. L’Istituto per gli Affari ebraici di New York trova invece 1.000.000 sterminati e 2.000.000 sopravvissuti (op. cit. p. 59).
Insomma, Raul Hilberg accusa l’Istituto per gli Affari ebraici di aver commesso una esagerazione di 1.000.000 – 420.000 = 580.000 deportati sterminati, nella sua statistica, e il Centro mondiale di documentazione ebraica di averne commessa una di: 1.500.000 – 420.000 = 1.080.000 nella sua. E’ in base alla statistica di questo ultimo Centro che noi calcoliamo l’esagerazione. Conclusione: ecco di nuovo 1.080.000 ebrei che figurano a torto nella colonna degli sterminati, ben vivi nel 1945, i quali se non risultano più né in Russia, né altrove in Europa, vivono evidentemente — con la loro progenitura, nata dopo il 1945 — in qualche paese di un altro continente. Alla fino del nostro studio della populazione ebraica polacca, eravamo arrivati a 2.452.960. Eccoci a:
2.452.960 + 1.080.000

3.532.960

PAESI BALTICI

Il caso degli ebrei dei paesi baltici è tanto chiaro quanto quello dei russi. Por quanto mi risulta, nessuno ha mai parlato di ebrei finlandesi sterminati. Per i tre paesi, Ruppin dava, nel 1926: Estonia, 5.000; Lettonia, 80.000 e Lituania, 160.000. Totale: 245.000. Con uno spostamento di 10.000/15.000 persone da un paese all’altro, il Centro mondiale di documentazione ebraica giunge allo stesso totale e R. Hilberg a 244.500 alla data del 1939. Aumento naturale dal 1926 al 1939? Non è detto. E’ anche possibile che sia stato compensato dall’emigrazione. Insomma, trascurando l’approssimazione di 500 unità, siamo a 245.000. Allora secondo David Bergelson vi sarebbero 245.000 x 80 : 100 = 196.000 sopravvissuti certi, e 245.000 – 196.000 = 49.000 mancanti nel 1945. Il Centro mondiale di documentazione ebraica trova 219.000 sterminati e 26.000 superstiti. Quanto a
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Hilberg, si distingue, una volta di più, per la cifra maggiore: 244.500 sterminati, nessun sopravvissuto. Continuiamo. Poiché non si capisce per quale ragione le autorità russe che evacuavano gli ebrei su tutta la linea del fronte (Raul Hilberg riconosce il fatto ma non è d’accordo circa la sua importanza), avrebbero deliberatamente fatto eccezione per quelli dei Paesi Baltici. Raul Hilberg lo afferma ma non lo spiega. Dunque: 196.000 – 26.000 (statistica ufficiale) = 170.000 ebrei sopravvissuti portati nella colonna degli sterminati, i quali, non essendo più nei Paesi Baltici, corrono il mondo con la progenitura nata dopo il 1941-’42. Eccoci a questo punto dell’indagine:
3.532.960 (cfr. p. 155) + 170.000 =

3.702.960

CECOSLOVACCHIA

In questo paese abbiamo visto che i 260.000 ebrei censiti nel 1926 da Arthur Ruppin potevano al massimo essere divenuti 293.800 nel 1939 e non 315.000 come sostengono le fonti ebraiche. Abbiamo anche visto che 131.600 di loro erano sicuramente fuggiti in Ungheria attraverso la Cecoslovacchia, e che quando cominciarono le deportazioni, ne restavano 162.200 nel paese, secondo lo statista tedesco Korherr (cfr. p. 151) che aveva tendenza a esagerare quello che egli definiva “il pericolo ebreo”, piuttosto che a diminuirlo (in Europa, trovava 11.000.000 di ebrei nel 1941!). Il Centro mondiale di documentazione ebraica ha ritrovato 55.000 superstiti nel 1949. Logicamente non ne possono essere stati deportati dalla Cecoslovacchia che 162.200 – 55.000 = 107.200. Anche se si prende in considerazione la motiv. 83 della sentenza di Gerusalemme che parla della deportazione contestatissima di 15.000 ebrei del Protettorato a Lodz in data 15-10-1941, si avrebbe sempre 107.200 + 15.000 = 122.200. Posteriormente al 15 ottobre 1941, la Sentenza di Gerusalemme non prese in considerazione nessun’altra deportazione della Boemia-Moravia (Protettorato) se non per dare un totale generale senza alcuna giustificazione: 35.000. Anche accettandolo, il totale è soltanto: 122.000 + 20.000 = 142.000. Oltre questa indicazione, tutti gli altri ebrei del Protettorato vi sono dati come vittime dell’emigrazione forzata organizzata da Eichmann, da Praga, prima della guerra (motiv. 66 che non precisa alcuna cifra). Esclusivamente per la Slovacchia, la Sentenza di Gerusalemme fornisce una stima delle perdite ebree: globalmente “più di 70.000 su 90.000” (motiv. 104) dei quali 58.000 fino alla fine di maggio 1942 e più di 12.000 dal settembre 1944 al marzo 1945. Se ci si riferisce a questa sentenza per valutare le perdite ebree di tutta la Cecoslovacchia, si trova: 70.000 in Slovacchia + 35.000 in BoemiaMoravia = 105.000. Ciò significa che il Centro mondiale di documentazione ebraica,pretendendo di non avervi trovati vivi che 55.000 ebrei nel 1945, ha tentato di caldeggiare una verità che i Giudici del
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Tribunale di Gerusalemme non hanno ammessa, poiché la loro convinzione è fondata sulla documentazione ufficialmente da lui fornita. Ma, questa sconfessione dimostra tutta la sua importanza rispetto al numero degli ebrei cecoslovacchi annunciati da questo organismo nella sua statistica generale come sterminati, poiché fissa questo numero a 315.000 – 55.000 = 260.000 (!). In realtà la defalcazione doveva stabilirsi cosi:

Popolazione ebraica cecoslovacca nel 1939 . . . .293.800

– Passati in Ungheria (dove il conto dei deportati
e dei ritrovati vivi sarà considerato nei totali che risul-
teranno dai calcoli fatti sull’Ungheria perché è im-
possibile fare altrimenti) (34) . . . . . . . . . . . . . .131.600
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .——–
Restavano: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.200

– Decretati dal Tribunale di Gerusalemme come de-
portati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105.000
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .——–

– Non deportati dalla Cecoslovacchia . . . . . .. . . .57.000

– Decretati dal Centro mondiale di documentazione
ebraica
come non deportati . . . . . . . . . . . . .. . . . 55.000
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . ——–

Ossia in meno:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .2.200
Ed ecco ancora 2.200 ebrei che figurano nella statistica come morti, essendo invece ben vivi nel 1945 e che, non essendo più in Europa — ufficialmente — devono figurare nella statistica dei vivi in un altro paese di un altro continente. Al termine dello studio della popolazione ebraica dei Paesi Baltici, eravamo giunti a: 3.702.960 per l’insieme di quelli che sono nello stesso caso. Eccoci dunque a:
3.702.960 + 102.200

3.705.160

UNGHERIA

Qui la situazione degli effettivi ebrei era altrettanto complicata che in Polonia. Ruppin vi aveva censiti 320.000 ebrei nel 1926 e noi abbiamo visto (p. 151) che potevano essere divenuti 361.600 nel 1939. Il Centro mondiale di documentazione ebraica dice 404.000 e Raul Hilberg 400.000 (35). Il dr. Kasztner, come abbiamo visto,
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ne dà 800.000 in permanenza dopo l’inizio della guerra (36) comprendendovi 205.800 cecoslovacchi, 215.000 polacchi, e 17.500 iugoslavi. Totale degli ungheresi: 800.000 – (113.600 + 289.300 + 17.500) = 361.600. Accetteremo dunque queste cifre verificate da un calcolo in senso inverso. Ma non ha importanza, poiché possiamo ragionare solamente sul dato di Kasztner. Il problema è: quanti di questi 800.000 ebrei sono stati deportati dopo l’arresto? E qui, è notte fonda. Le divergenze nei racconti dei testimoni del Movimento sionista internazionale a proposito della deportazione e della sorte degli ebrei ungheresi, e le interpretazioni che ci sono state date da coloro che, dopo la fine della guerra, fanno professione di commentatori del dramma ebraico, sono le più numerose, le più profonde e le più contraddittorie. Il lettore ha già un’idea di queste divergenze dall’analisi fatta della testimonianza di Höss, comandante del campo di Auschwitz, e del dottor Miklos Niyszli di cui qualche mia allusione al Rapporto del dr. Kasztner e al libro di Joël Brand hanno confermato la pertinenza, su tutti i punti. Esse rendevano le tesi del Movimento sionista internazionale talmente vulnerabili nel loro insieme che, proprio sulla deportazione degli ebrei ungheresi, nella speranza di promuovere una verità ufficiale suscettibile di riavvicinare tutti, la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme è stata più precisa: è evidente, ad esempio, che i cinque treni giornalieri, ciascuno di 4.000 persone, in un passo della sua testimonianza e 5.000 in un altro, erano una imbecillità che assolutamente bisognava mettere fuori circolazione, nel senso che diversamente, per i 52 giorni della durata della deportazione degli ebrei ungheresi, si avevano 260 treni, e da 1.040.000 e 1.300.000 di deportati da un paese dove, al massimo, non se ne potevano trovare che 800.000, dei quali si precisava, poi, che 200.000 non erano stati deportati (37).
La Sentenza del Tribunale di Gerusalemme ha dunque decretato che, dal 16 maggio al 7 luglio 1944, “in meno di due mesi, 434.351 personne furono deportate in 147 treni merci, in ragione di circa 3.000 persone per treno, uomini, donne, bambini, ossia da 2 a 3 treni giornalieri in media” (motivazione 112); che “12.000 furono uccisi a Kamenetz-Zodolsk durante l’estate 1941”, che “da 15.000 a 50.000 perirono ai lavori in Galizia e in Ucraina nel 1941-’42” (motivaz. 111); che 1.500 furono deportati al campo di Kistarzca il “20 luglio 1944” (motivaz. 113); che “50.000 abbandonarono Budapest a piedi in direzione della frontiera austriaca (220 km.) dal 1 novembre” (motiv. 115); e infine “15.000 inviati al campo di Vienna-Strasshof per essere conservati nella ghiacciaia” (motiv. 116) a una data fornita “senz’altra precisione che: dopo il 30 giugno 1944”. In totale: da 557.851 a 562.851.
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La motivaz. 115 che tiene conto dei 50.000 ebrei partiti a piedi da Budapest non lo dice, ma il Rapporto del dr. Kasztner precisa che questa marcia fu interrotta per ordine di Himmler verso il 17 o il 18 novembre, che 7.500 persone furono salvate e ricondotte a Budapest e che soltanto 38.000 (38)raggiunsero la Germania. Indipendentemente da questa considerazione — non si può supporre che tutti abbiano letto il Rapporto Kasztner, e tanto meno, dato che non è stato reso pubblico che nel 1961 (in quale stato, poi!) dall’editore Kindler di Monaco — se si tiene conto dei 200.000 superstiti dati dalla statistica del Centro mondiale di documentazione ebraica (vedi tabella p. 109bis) vi sarebbero dunque stati in Ungheria 757.851 o 762.851 ebrei totalmente, al 19 marzo 1944. E senza dubbio perché aveva letto, come me, il Rapporto Kasztner nell’originale, anche Raul Hilberg ha ridotto questo numero a circa 750.000. Ma vedete come i nostri metodi e i nostri temperamenti differiscono: personalmente ne traggo la conclusione che delle “800.000 anime della comunità ebraica ungherese” (motiv. 111 ) ve ne sono da 40.000 a 50.000,dei quali la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme non ha saputo spiegare la sorte.
Insomma, riprendiamo tutto in particolare:
1. Il numero dei treni. Se noi siamo informati con lusso di dettagli sull’arrivo dei treni a Auschwitz-Birkenau, lo siamo assai meno circa la loro partenza dall’Ungheria. Comincio dunque col dire che riunire 3.000 persone in una stazione e caricarle in 40 vagoni non è cosa da poco, e per farlo comprendere a chi non è specialista di trasporti, non saprei fare nulla di meglio che citare il mio stesso caso: la partenza per il campo di Compiègne del treno nel quale fui deportato a Buchenwald.
Il campo di Royallieu, dove fummo anzitutto radunati, poteva contenere una decina di migliaia di persone. Ogni settimana, alla fine del 1943, ne arrivavano circa 1.500 e ne ripartivano altrettante. Il trasporto nel quale fui incluso era di 1.500 persone valide e una cinquantina di ammalati.
Svegliati alle 6 del mattino, radunati nel luogo di chiamata, raggruppati 5 per 5 in scaglioni da 100, riuscimmo a lasciare il campo un po’ prima delle otto, i 15 gruppi di 100 in testa, un camion che seguiva lentamente trasportava la cinquantina di ammalati. E’ lungo, un corteo di 15 gruppi di 100 persone che si seguono 5 per 5 in ogni gruppo, due soldati con l’arma al braccio che serravano la fila, in testa, in coda, da ogni lato: da 350 a 400 metri, con l’intervallo tra i gruppi, e un importante servizio di sicurezza in testa e in coda alla colonna.
Un po’ prima delle 9, ci trovammo allineati sul marciapiede della stazione, ogni gruppo di 100 (39) di fronte al vagone sul quale
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doveva salire. Il treno: una lunga fila — ci sembrava immensa — di vagoni merci. Quanti? Non ho contato. Un vagone per ogni gruppo = 15. Più un vagone speciale per la cinquantina dei malati. Ogni tre vagoni, ne notiamo uno il cui tetto è armato di mitragliatrice e d’un altro strumento del quale, nel mio gruppo, decidiamo trattarsi d’un riflettore. In testa e in coda, due vagoni per viaggiatori: il personale d’accompagnamento che, se necessario, rafforzerà, durante il viaggio, la sicurezza ripartita nei vagoni blindati. In tutto da 25 a 30 vagoni — 25 è il minimo. E non trasporta che meno di 1.600 persone a 100 per vagone.
Poco dopo le 10, il treno sembra pronto a partire: nessuno più sul marciapiede (annunciano quelli che sono vicini ai finestrini, in testa e in coda del vagone). Ma il treno non parte. Un ferroviere spiega: non parte con facilità un treno che non è previsto negli orari, bisogna anzittutto prevenire tutte le stazioni della linea e questo non si fa che al momento esatto in cui è pronto per partire. Ancora una lunga ora d’attesa: poco prima del mezzogiorno il treno si muove…
In totale una buona mezza giornata. E ne avevamo sentiti di Los!… e di Schnell!… All’arrivo a Buchenwald, siamo stati fatti scendere un po’ più rapidamente; ogni vagone doveva essere separatamente condotto al marciapiede di scarico, perché il marciapiede di discesa era meno lungo del treno; due buone ore, per liberare completamente tutti i vagoni e permettere loro di ripartire vuoti fino a Weimar.
Non intendo dire che quello che accadeva a Compiègne si sia ripetuto esattamente a Budapest, ma soltanto che qui come là si era sottomessi alle stesse operazioni, sia pure a gradi diversi; che vi si applicavano gli stessi metodi in funzione degli stessi principi. Qui e là, bisognava, ad esempio, concentrare la gente da deportare, caricare i vagoni, ecc… tutte cose che prendevano press’a poco lo stesso tempo ovunque.
Dalla lettura del Rapporto Kasztner e dal libro di Joël Brand si ha l’impressione che a Budapest vi erano da 200.000 a 250.000ebrei, senza tuttavia poter osare una stima precisa, che l’uno come l’altro non danno. Le organizzazioni alla testa delle quali essi erano, sembravano in effetti essersi sforzate d’evitare un troppo grande concentramento di ebrei nella capitale e di disseminare in tutto il paese i circa 400.000 polacchi, cecoslovacchi e iugoslavi che vi arrivavano a flusso continuo. Dove non potevano evitare il concentramento, era nelle regioni di frontiera dell’Unghe-
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ria, e della Romania, che tutti cercavano di raggiungere, e questa è la ragione per la quale, oltre Budapest, uno o due centri di queste regioni (a est della Theiss) furono scelte come punti di raduno, dai quali i treni potessero partire direttamente per Auschwitz, senza passare per Budapest.
Nella stessa Budapest, sembra che gli ebrei siano stati dapprima indirizzati verso una parte piuttosto lontana dalla stazione, che il dr. Kasztner e Joël Brand designano col nome di “il mattonificio” ed in cui, senza poter citare una cifra esatta, che né l’uno né l’altro danno, si può stimare che al massimo si potevano raggruppare una decina di migliaia di persone. Nella tesi ufficiale: da là verso la stazione in colonne di 3.000 uomini, donne, bambini, vecchi e bagagli, precisano tutti i testimoni, che affermano che gli ebrei portavano con loro tutto quello che potevano.
Ad ogni modo, di quà o di là della Theiss, bisognava concentrare: per camion verso la stazione più prossima — o a piedi — per ferrovia, dalla più prossima stazione al punto di raduno. Fatto curioso: a Budapest non sono gli ebrei della città, per la maggior parte ungheresi, che vengono concentrati “al mattonificio”, ma quelli delle altre regioni che si andavano a cercare a 100, 150 km. e anche più lontano. “Il mattonificio” non poteva, d’altronde, contenere che la sua decina di migliaia per volta — quanto ufficialmente si deportava per infornate di 3.000 ognuna, ciascuna rimpiazzata da un’infornata press’a poco uguale. Insomma: al “mattonificio” di Budapest o altrove, occorrevano dei vagoni per concentrare, e questi vagoni bisogna toglierli dal lotto di 1.000, che, ci ha detto Kasztner, il Kommando Eichmann aveva a sua disposizione. Poiché le due operazioni si facevano contemporaneamente, data l’impossibilità di sostituire, nei punti di raduno, gli ebrei se non in numero uguale a quello in cui venivano deportati, se si fossero dovuti andare a prendere tanto lontano quanto i luoghi di deportazione, sarebbero occorsi altrettanti vagoni per un’operazione e per l’altra. Ma venivano deportati a circa 500 o 550 chilometri, 600 al massimo, a seconda del caso e si andavano a cercare a 100, 150 o 200 km.
Conclusione: solamente due terzi dei vagoni potevano essere adibiti alla deportazione, o poco più. Diciamo 700. E ragioniamo: 4 giorni per andare ad Auschwitz + 4 giorni per ritornarne + una buona mezza giornata per caricare e scaricare le 3.000 persone di ogni treno, e ogni treno non poteva tornare a vuoto al suo punto di partenza per ripartirne carico che la sera del nono giorno, dopo la sua prima partenza. A tre treni di quaranta vagoni al giorno, il sistema restava bloccato dopo il sesto giorno, avvenuta la partenza del secondo giorno. A due treni giornalieri, restava bloccato al nono giorno, ma la sera, dopo il ritorno del primo treno ad Auschwitz, il secondo poteva partire. Tutto il sistema
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poteva funzionare a condizione che i treni camminassero con la regolarità d’un orologio (40).
In realtà, secondo il racconto fatto a Sassen, e dal quale Life ha tratto l’abominevole cretineria che ha pubblicato (28-11 e 5-12-1960) presentandola come Memorie autentiche, Eichmann dice che solo raramente gli è riuscito di far partire due treni al giorno, dall’Ungheria. Non è degno di fede perché era suo interesse minimizzare? Certo, ma a giudicare dalle motivazioni della sentenza espressa dai giudici di Gerusalemme e loro testimoni, non certo molto meno interessato di costoro in senso inverso, i quali non si sono certo privati evidentemente di drammatizzare oltre misura.
2. Numero delle persone per treno. Il Tribunale di Gerusalemme con la sua sentenza, e come quasi tutti i dati di fonte ebraica, è in flagrante disaccordo con se stesso: dice infatti, alla motivazione 112, che gli ebrei sono stati deportati dall’Ungheria in proporzione di “circa 3.000 persone per treno”, e alla motivazione 127, non sono rimasti che “una media di 2.000 persone ebree per treno”. E, almeno su questo punto, una negligenza tradisce le tesi: non si capisce veramente per quale motivo Eichmann, presentato come avido di deportare il massimo di ebrei, avendo l’abitudine di pigiare “circa 3.000 persone per treno” in proporzione di “70 a 100 persone per vagone e anche più”, dice la motivazione 154 — i 3.000 della motivazione 112 danno una media di 70 o 80 per vagone, di un treno composto di 40 vetture — ne avrebbe caricate solamente 1.500, come è detto nella motivazione 113, nel treno che fece il suo completo al campo di Kistarzca.
Devo ricordare che a Norimberga Höss aveva detto al prof. Gustave Gilbert che i convogli erano di 1.500 persone, e alla sbarra del Tribunale che essi erano in media di 2.000 persone (confronta sopra a pagina 42). Nella sua confessione egli parla di “5 treni ciascuno di 3.000 persone, al giorno”, ma anche essi “non contenevano mai più di 1.000 persone” (cf. p. 42). — Sempre secondo il racconto narrato a Sassen, Eichmann sostiene di aver deportato al massimo 200.000 ebrei in tutto, dall’Ungheria, ma non fornisce nessuna indicazione veramente precisa sull’importanza numerica di ogni convoglio. Rileva i cinque menzionati da Höss, ed è a questo proposito che afferma che il massimo di due raramente è stato ottenuto. Protestando in modo veemente. Rileva anche i 3.000 per convoglio e protesta ancora non meno violentemente. I 2.000 di cui a Norimberga ha parlato Höss, non lo fanno tuttavia sobbalzare: è già molto, dice.
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Il mio parere, invece, è che sia possibilissimo. Ciò che non lo è, sono le 3.000 persone. Allora, quanti di meno? Vediamo di ragionare: da Budapest ad Auschwitz vi sono circa 500 chilometri e i treni impiegano almeno quattro giorni per percorrere questa distanza, poniamo, a una velocità media di 125 km. al giorno. Per due ragioni. La prima: non sono previsti negli orari — “fuori linea”, dicono i ferrovieri nel loro linguaggio — e devono fare lunghe soste, a ogni tratto del loro cammino, per dare il passo ai treni regolari. La seconda: eravamo in piena guerra, in maggio e giugno 1944, vale a dire che venivano di frequente fermati dagli attacchi aerei e minacciati anche dagli attacchi dei partigiani. Avevano dunque bisogno di essere protetti lungo tutto il percorso dai servizi sedentari, regolarmente distribuiti tra il punto di partenza e quello di arrivo; ma in parte dovevano assicurarsi la protezione da se stessi, il che vuol dire che erano accompagnati. Abbiamo visto che per trasportare meno di 1.600 persone in 16 vagoni, da Compiègne a Buchenwald, era occorso un treno che era composto di non meno di 25 vagoni. Dei 40 vagoni che componevano quelli in partenza dall’Ungheria, ve ne potevano essere un minimo di 10 per il trasporto del personale d’accompagnamento e di sicurezza (10 = 1 su 4). E anche di merci, ma contenenti soltanto una quindicina di persone, ognuna con le proprie armi e i viveri per otto giorni: dunque 150 uomini armati per accompagnare un convoglio di quaranta vagoni, è il minimo. Non ho mai trovato in tutto quello che ho letto sulla deportazione degli ebrei ungheresi, il minimo accenno a questo aspetto del problema. Eppure è notorio che nessun convoglio del genere è mai stato lanciato solo su una strada ferrata, dai tedeschi, durante la guerra. Per quanto rassegnati potessero essere stati gli ebrei nell’abbandonarsi alla sorte che era loro promessa, per quanto piombati fossero stati i vagoni, a una velocità di 125 chilometri giornalieri, non vi è stato un treno che non sia arrivato a Auschwitz quasi vuoto. Tanto più che tra tutto quello che portavano con loro, sicuramente, vi era quanto è utile per segare, tagliare, strappare tutte le tavole di tutti i vagoni. E in tutta sicurezza, se fossero rimasti senza sorveglianza. Ma: 147 treni di 150 persone circa, per la sorveglianza e la sicurezza = 22.050 gendarmi ungheresi, poiché il Kommando Eichmann era composto di soli 150 uomini, e mai in nessuna parte è stato detto che unità delle SS, della Wehrmacht o di altre specialità della armata e della polizia tedesca gli siano state inviate per aiutarlo in questo lavoro.
Ripeto quindi la mia domanda: quanti ebrei? Trenta vagoni al massimo, carichi di ebrei, per ogni convoglio = 2.400 persone con un massimo di 80 per vagone. Allora è discutibile solo questa cifra di 80 per vagone. Ancora una volta la mia personale testimonianza: gli ebrei ungheresi il cui convoglio partito da Budapest
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per Auschwitz era arrivato a Dora alla fine di maggio 1944. Dei circa 1.500 che facevano parte di questo treno, un corto numero era stato diretto verso altri campi dipendenti da Dora, appena arrivato (Hellrich o altri). Non so bene quanti ne erano restati: il contenuto di un blocco. I principi anti-razzisti del nazionalsocialismo vollero che fossero totalmente isolati dagli altri detenuti: questo blocco era stato circondato di filo spinato. Da questo blocco così protetto, essi si recavano al lavoro come tutti, ma in Kommando a parte. Per essi l’appello veniva fatto nel blocco stesso, prima della partenza per il lavoro, e al ritorno. Noi li invidiavamo. Quindici giorni dopo il loro arrivo, quando durante la notte vi fossero stati rubati i berretti o il vostro pane, se aveste voluto del tabacco o non importa che, al mattino tra la sveglia e l’adunata per l’appello, o la sera prima che fossero spente le luci, vi sarebbe bastato fare un rapido salto fino al blocco degli ebrei, e in cambio di altre cose avreste potuto avere quasi tutto quello che desideravate: un vero mercato. Li ammiravamo: alla porta del campo, erano stati fatti completamente svestire per mandarli alla disinfezione, e vi erano entrati tutti nudi, i contatti con gli altri detenuti erano limitati e… erano riusciti a procurarsi un po’ di tutto quello che non si poteva trovare nel campo se non con enormi difficoltà e a prezzo alto.

In capo a un certo tempo, la sorveglianza particolare di cui erano oggetto non fu più che apparente: in occasione di questi contatti, potemmo allora scambiare con loro qualche parola e avere persino brevi conversazioni. Fu in questo modo che apprendemmo la loro odissea: ci parlavano di ciò che avevano dovuto lasciare all’ingresso del campo (41) e, dato che ai loro occhi era-
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vamo degli anziani, ci chiedevamo se l’avrebbero ricuperato, quando e come ecc… In breve: essi erano stati trasportati dall’Ungheria in vagoni di 70-80 persone con tutti i loro bagagli. Avevano compiuto un lungo viaggio di 6-7 giorni prima di arrivare. Era stato detto loro, alla partenza, che sarebbero stati condotti a Auschwitz, e quando avevano saputo che era a Dora che dovevano scendere, erano stati felici. Di Auschwitz raccontavano le cose più spaventose. Circostanza curiosa: non vi erano con loro né donne, né bambini. Questi ultimi erano stati separati alla partenza, e al momento non ne fummo stupiti perché era quello che era capitato anche a noi.
Conclusione: le “70 a 100 persone e anche più per vagone”, di cui parla la motivazione 154 della Sentenza di Gerusalemme, significano una media di 80 per vagone, la divisione degli ebrei essendo stata fatta nei vagoni, sul marciapiede della stazione di partenza in funzione di quanto portavano con loro: più nell’uno, meno nell’altro (cfr. nota 41). Con le sue “3.000 persone circa per treno”, la media è di 75 per vagone, che la motivazione 112 ammette sostenendo che tutti i vagoni erano occupati da ebrei deportati.
Tutti i treni non avevano lo stesso carico di ebrei: quello che fu caricato a Kistarzca, della motivazione 113, non ne trasportava ufficialmente più di 1.500. Lo stesso, probabilmente, doveva avvenire dei 40 vagoni, dei quali una decina per la sicurezza e la sorveglianza come tutti gli altri, quindi una media di 50 per vagone… Dunque ciò che è probabile, in definitiva, è che il carico si situava, in realtà, tra un minimo di 1.500 indicato da Höss al professor Gilbert e il massimo possibile di 2.400. Di modo che la media generale di 75 per vagone della motivazione 112 può essere la media generale che dà circa 2.200 persone per treno. Comunque è la supposizione più verosimile.
Questa tesi ha un vanzaggio: se, come sostiene Eichmann, è vero che egli è riuscito a deportare in tutto circa 200.000 ebrei ungheresi, dei quali 32.000 a piedi, ne resterebbero 168.000 trasportati per ferrovia e, 168.000 : 2.200 = 77 treni circa nei cinque giorni durante i quali avvenne la deportazione degli ebrei ungheresi. Avrebbe inoltre quest’altro vantaggio: essere nel numero delle cose tecnicamente possibili — al limite del possibile — con 1.000 vagoni; e quando Eichmann dice che raramente gli è riuscito di far partire 2 treni giornalieri, si tratta solo dell’impressione di un impiegato zelante che non raggiunge il fino che si è imposto e che esagera il suo smacco ai propri occhi: 77 treni in 52 giorni, sono sempre 2 treni al giorno, un giorno su due. E nelle condizioni date, rappresenta una riuscita al 75%.
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3. Bilancio generale della deportazione degli ebrei d’Ungheria

— Al 19 marzo 1944 ……………………………………..800.000
– Alla fine di novembre 1944: deportati…………….200.000
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .——–
— Non deportati……………………………………………600.000
— La motivazione 111 al processo di Gerusalemme tiene conto di 57.000 (42) morti in Ungheria e non se ne citano altri nella Sentenza…………………………………57.000
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .——–
— Superstiti dei non deportati………………………….543.000

La statistica ufficiale del Centro mondiale di documentazione ebraica non tiene conto che dei 200.000 ritrovati vivi nel 1945, ossia 543.000 – 200.000 = 343.000 che erano ben vivi (e senza dubbio non erano tutti ungheresi), ma che figurano nella statistica dei morti in Ungheria e negli altri paesi di provenienza. Di questa gente che non figura in nessuna statistica di vivi in Europa e che quindi non è più in Europa — ufficialmente almeno — eravamo arrivati a un totale di 3.705.160 al termine del nostro studio della popolazione ebrea cecoslovacca (cfr. p. 157).
Da quello, il totale, al termine di questo studio della popolazione ebrea ungherese: 3.705.160 + 343.000 = 4.048.160 viventi altrove — con la progenitura nata dopo il 1945 — se non sono in Europa. Bisogna naturalmente aggiungervi, come ovunque, tutti colro che, essendo stati deportati, sono ritornati vivi e si collocano, anch’essi, nel medesimo caso.
Cioè

4.048.160

Legate all’Ungheria: la Iugoslavia, per la corrente di ebrei che dalla Ungheria provenivano, e la Romania, perché vi erano diretti. A sua volta la Iugoslavia è legata all’Italia per quegli ebrei che vi sono fuggiti.

YUGOSLAVIA

Come abbiamo visto, il Centro mondiale di documentazione ebraica collocava in questo paese 75.000 ebrei nel 1939 (cfr. pp. 109 bis e 151), dei quali solo 20.000 erano stati trovati vivi nel 1945. Nell’aprile 1941, la Iugoslavia venne invasa e smembrata dalle truppe germaniche. Due stati vi furono creati dalla diplomazia dell’Asse Berlino-Roma: la Croazia, dichiarata indipendente, e la Serbia, sotto occupazione tedesca. L’Italia, inoltre, riceveva la Slovenia che essa occupò così come una parte della Croazia dove sistematicamente contrastò la politica anti-ebraica del governo Pavlevich più hitleriano che mussoliniano. All’est, la regione dell’Alto Vardar, con Skopje e Monastir, venne attribuita alla Bulgaria. In
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questo rebus, ecco come la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme (motivazioni 105 e 106) suddivise gli ebrei iugoslavi: 30.000 in Croazia e 47.000 in Serbia, con un totale di 77.000. Evitiamo i commenti: siamo abituati alle discordanze tra le fonti ebraiche. Altra discordanza: la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme trova (mot. 105 e 106) che nel 1945 sopravvivevano solamente: 1.500 ebrei in Croazia + 5.000 in Serbia = 6.500. Ma ecco il più grave: da quanto precede, risulta che tutta la popolazione ebrea della Slovenia, dove, a motivo della prossimità a Trieste, è storicamente sempre stata la più densa, si è precipitata in Croazia e in Slovenia per essere, sia più vicina ai tedeschi, sia sotto la loro diretta giurisdizione. Anche quella della regione dell’Alto Vardar non ha avuto esitazione: tra la Germania e la Bulgaria che non era antisemita, si è precipitata in Serbia, zona d’occupazione tedesca. Infine, nessuno è andato in Ungheria, dove il dottor Kasztner ne ha pur trovato un numero abbastanza grande per notarlo nel suo Rapporto. Si sarebbe persino tentati di credere che 2.000 ebrei (che la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme trova in più di quelli trovati dalla statistica del Centro di documentazione ebraica) siano provenienti da luoghi dove non rischiavano nulla e siano venuti in Croazia per essere più certi di venir sterminati. Kasztner ha sovente osservato che gli ebrei europei avevano accettato la loro sorte con molta rassegnazione: gli ebrei iugoslavi non erano soltanto rassegnati ma certamente anche masochisti.
La Iugoslavia, fino al processo di Gerusalemme, costituiva un enigma: Poliakov, portavoce ufficiale del Centro di documentazione ebraica,ci aveva spiegato (Breviario dell’odio e Il terzo Reich e gli ebrei) che in Iugoslavia “gli ebrei si erano rifugiati a migliaia nelle zone d’occupazione italiana”; che in Croazia dove Krumey era giunto il 16 ottobre 1943, era riuscito a deportare meno ebrei del suo collega Alois Brünner che era riuscito da Nizza a dirigerne 10.000 verso i campi di concentramento (43); che dopo il colpo di Stato di Badoglio (settembre 1943) gli ebrei avevano seguito le truppe italiane che si ritiravano dalla Croazia, ecc… Tutto questo, è evidente, non quadra molto bene con le motivazioni 105 e 106 della Sentenza di Gerusalemme; comunque in perfetta contraddizione, sia con la ripartizione degli ebrei nelle differenti zone dopo lo smembramento, sia con il numero dei deportati in Croazia; dei quali la motivazione 105 dice che furono 28.500, da portare a carico di Krumey, fatta eccezione per 2.800.
Poliakov era quasi muto a proposito dei dettagli circa la Serbia: con garanzia del Centro di documentazione ebraica, “nessuna deportazione in Serbia, tutti gli ebrei sterminati sul luogo”, egli si limitava a decretare 20.000 superstiti e 55.000 sterminati nell’insieme
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della Iugoslavia (Breviario dell’odio, p. 180). Per avere dettagli precisi, era necessario ricorrere a altri autori (Michel Borcwicz, Joseph Billig, ecc.) ma il guaio era che, facendo il totale di tutti i particolari, si arrivava con fatica a 30.000. E si concludeva che le valutazioni senza fondamento di Poliakov erano pura fantasia. Per conseguenza, questa cifra di 30.000 essendo basata su giustificazioni verosimili, bisogna prenderla in considerazione per il complesso della Iugoslavia accompagnandola a quest’altra conclusione: che, essendo unanimamente riconosciuto che gli italiani non avevano mai consentito a consegnare ai tedeschi alcun ebreo della loro zona di occupazione, Poliakov aveva, con certezza, ragione per quelli della Croazia, e che erano dunque quelli della Serbia che avevano pagato il più pesante tributo alla deportazione e alla morte. Inoltre, era logico: i tedeschi li perseguitavano dal 1941 e anche se non li deportarono prima del 1942, erano pronti a farlo appena l’avessero deciso, anche se ancora non erano in Croazia.
Seguendo gli avvenimenti nello stesso ordine della loro successione, si faceva un’altra scoperta: la statistica stabilita alla fine del 1941 dal comandante tedesco Korherr per la Conferenza di Wannsee — prima, dunque, che le misure di deportazione (44) fossero prese in Iugoslavia — teneva conto di 40.000 ebrei che ancora si trovavano nell’insieme della Iugoslavia. Se ne doveva concludere che 75.000 – 40.000 = 35.000 erano fuggiti in Ungheria e in Italia (cfr. p. 151) poiché non erano più presenti e non erano stati arrestati. Sarebbe quindi nella logica delle cose, se si deducesse che da questi 40.000 furono presi i circa 30.000 dati nei dettagli per arrestati. E ugualmente in Serbia, poiché i croati, tranne circa 10.000 di loro, avevano seguito le truppe italiane in ritirata dopo il settembre 1943.
Il Centro di documentazione ebraica non era dunque autorizzato a far figurare più di 30.000 ebrei nella colonna degli sterminati — a condizione che essi lo siano stati tutti, dopo il loro arresto — della sua statistica. Ne ha fatti figurare 55.000, ossia 55.000 – 30.000 = 25.000 di troppo. Dato che gli ebrei iugoslavi che sono stati arrestati e che sono morti, in più di questi 30.000 considerati giustificati, sono già stati inclusi nei risultati dei calcoli fatti sulla popolazione ebrea ungherese; e dato che il rimanente lo sarà nei calcoli che verranno fatti per l’Italia, si può dire che abbiamo qui altri 25.000 ebrei europei vivi, da aggiungere ai 4.048.160 nello stesso caso, al quale siamo giunti al termine del nostro studio della popolazione ebrea ungherese. Cioè:
4.048.160 + 25.000

4.073.160

ITALIA

Qui, Arthur Ruppin dava 50.000 ebrei nel 1926 e il Centro di documentazione ebraica ne dava 57.000 nel 1939. Possibilissimo: al tasso
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medio di aumento naturale, troviamo: 50.000 + 13% = 56.500. Accettiamo i 57.000. Bisogna però aggiungervi i 16.000 ebrei iugoslavi (cfr. p. 151), ossia 57.000 + 16.500 = 73.500. Nel 1945, il Centro di documentazione ebraica ha trovato 15.000 deportati sterminati e 42.000 viventi. Logicamente avrebbe dovuto trovare 73.500 – 15.000 = 58.500 superstiti e l’esagerazione gravando sul numero dei morti sarebbe stato di 58.500 – 42.000 = 16.500. In realtà, è più importante poiché Rolf Hochhuth stesso, che si distinse recentemente per la sua abominevole opera, Il Vicario (op. cit.) sulla scorta del Documento Gerstein, non ha trovato che 8.000 ebrei arrestati in Italia e deportati, mentre i giudici di Gerusalemme non ne hanno trovati che “7.500 deportati, di cui il numero dei superstiti non supera i 600” (motiv. 109) = 6.900 sterminati. Numero dei superstiti in questo caso: 73.500 – 6.900 = 66.600. E con l’esagerazione del Centro di documentazione ebraica: 66.600 – 42.000 = 24.600. Da aggiungere ai 4.073.160 che vivono senza essere inclusi nelle statistiche ai quali siamo arrivati al termine dello studio sulla popolazione ebrea iugoslava e che ufficialmente non sono più in Europa. Cioè:
4.073.160 + 24.600 =

4.097.760

ROMANIA

Arthur Ruppin vi aveva recensiti 900.000 ebrei nel 1926 e il Centro di documentazione ebraica nel 1939 non ne trova più che 850.000 (L’Istituto per gli Affari ebraici è d’accordo ma Raul Hilberg ne trova 800.000): niente d’anormale, dalla Romania la popolazione ebrea ha sempre emigrato in alte proporzioni. Al capitolo dei deportati sterminati e dei superstiti, Ruppin dice metà della metà, il secondo è d’accordo con approssimazione su 5.000, per ogni sezione; e il terzo è naturalmente in totale disaccordo: 380.000 superstiti e 420.000 sterminati, afferma. Altra considerazione che prova a che punto tutta questa gente è cosciente di quanto dice: l’autore della statistica del Centro di documentazione ebraica,come è noto, è Poliakov (cfr. p. 110) e, commentando le cifre della propria statistica (Breviario dell’odio, p. 186), afferma che nel 1939 vi erano in Romania 700.000 ebrei e, nel 1945, solamente 250.000 (op. cit. p. 188). La motivazione 110 della Sentenza di Gerusalemme che riassume il dramma degli ebrei romeni è prudentissima: “In questo modo, circa la metà del giudaismo romeno fu salvata dallo sterminio”, basando questa frase sulla deposizione scritta del dr. Safran, Grande Rabbino di Romania, ma senza alcun riferimento al contenuto della deposizione.
Se il redattore di questa motivazione si fosse proposto il fine di dimostrare che nessun ebreo romeno era mai stato deportato dai tedeschi, credo che non avrebbe potuto riuscirvi meglio. Non vi è infatti citato che un solo progetto di deportazione di 200.000 ebrei
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deciso una prima volta il 26 luglio 1942 (da cominciare il 1 settembre seguente) ridiscusso una seconda volta il 17 settembre, poi il 26 e il 28 settembre, data in cui si è stabilito un accordo. Ma il 22 ottobre, quando le deportazioni ancora non avevano avuto inizio, il governo romeno fa sapere al suo interlocutore tedesco di aver mutato parere e che provvederà lui stesso a regolare il problema ebraico in Romania.
Fino a quel momento, l’atteggiamento della Germania era giustamente propenso a lasciare decidere ai romeni dei propri ebrei, e tutta una corrispondenza diplomatica attesta che questi non avevano cessato di proporre ai tedeschi la loro consegna, senza alcun successo. Ma i tedeschi non li volevano. E quando questi ultimi decisero di accettarli, furono i romeni che non vollero più consegnarli.
Gli autori dei resoconti di stampa del Processo di Gerusalemme dicono che il Gran Rabbino di Romania, nella sua deposizione, abbia sostenuto che fino all’agosto del 1942 i romeni, non riuscendo a far accettare i loro ebrei ai tedeschi, li sterminavano. E cita i massacri di ebrei di Odessa, ad opera dell’armata romena (60.000 vittime), dei pogroms a Bucarest, Ploesti, Jassy, Costanza, ecc… che fecero “vittime a decine di migliaia” senza indicazioni più precise. Egli valuta che in totale, dal febbraio 1941 all’agosto 1942, “da 250.000 a 300.000 ebrei furono così sterminati”. Dai romeni, non dai tedeschi.
Una tesi contestabilissima. Nella stessa epoca a Parigi, tutti coloro, tra i quali anch’io, che si trovavano a scaglioni lungo le trafile dell’emigrazione ebrea durante la guerra, sapevano dagli stessi ebrei coi quali entravano in contatto, che in Romania, se il governo non testimoniava loro una speciale simpatia, accordava però un passaporto turistico che permetteva loro di andare più lontano, dietro versamento di 1.000 dollari. Il Gran Rabbino assicura che fu soltanto a cominciare dall’ottobre 1942 che questa politica fu messa in atto e fu proprio perché il governo Antonescu ne venne a conoscenza, che bruscamente, dopo aver tanto supplicato i tedeschi di accettare gli ebrei che gli si voleva consegnare, rifiutò, al momento in cui quelli erano pronti ad accettarli. Hannah Arendt concorda (The New Yorker, 16-2-63). Vi è un solo disaccordo con le informazioni che noi avevamo a Parigi, oltre la data: il prezzo del passaporto che era, sembra, non di 1.000 dollari ma di 1.300.
Questa tesi che, della metà del giudaismo romeno (425.000 ebrei su 850.000) sterminato, attribuisce alla deportazione fatta dai tedeschi la differenza da “250.000 a 300.000” a 425.000, ossia da 125.000 a 175.000 ebrei romeni, è assai contestabile per un’altra ragione: i rimaneggiamenti territoriali dei quali fu oggetto la Romania tra il 1939 e il 1945.
Nell’agosto 1939, il Patto germano-russo aveva fatto pagare ai contraenti e ai loro amici un pesante contributo: abbandono della Bukovina del Nord e della Bessarabia all’URSS (giugno 1940);
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una parte importante della Transilvania all’Ungheria e la Dobrugia alla Bulgaria (agosto 1940). Lo spostamento della popolazione ebrea di queste regioni, in occasione dei trasferimenti di territorio, non è stata oggetto di alcun studio che sia pervenuto a mia conoscenza. La tesi generalmente ammessa è che sia rimasta sul luogo, o si sia ben poco spostata. Ma vi erano accordi di trasferimento di popolazione che non erano tutti regolati allo scoppio del conflitto germano-russo nel giugno 1941. Rimando coloro che fossero interessati a questi accordi, all’eccellente studio dell’Istituto Nazionale di Statistica e di studi economici, pubblicato nel 1946 dalle “Pubblicazioni universitarie di Francia”, col titolo: I trasferimenti internazionali delle popolazioni.
Non vi sono dubbi circa le intenzioni della Romania, che dopo il 1940, durante l’evoluzione dei rapporti germano-russi, spiava l’occasione favorevole di avere possibilità di recuperare i territori dei quali era stata amputata, in specie della Bessarabia che, più degli altri due, era nel campo di tali possibilità: nel giugno 1941, essa si affiancò all’Asse, in guerra contro la Russia e, non la sola Bessarabia, ma anche una zona d’occupazione che fu chiamata Transnistria e che si estendeva dalla sua frontiera del 1939, il Dniester, fino a Bug, le furono attribuite. La Germania si annetteva la zona oltre il Bug fino al Dnieper.
I russi, procedendo all’evacuazione della Bukovina e della Bessarabia, devono avere evacuato anche il massimo della popolazione, la quale provvedeva da sè, fuggendo, come ovunque, davanti all’esercito tedesco. Comunque si siano svolti i fatti, certo è che dall’11 al 21 dicembre 1943, il Comitato Internazionale della Croce Rossa inviò uno dei suoi delegati in Romania: Charles Kolb. Egli vi soggiornò dall’11 dicembre 1943 al 14 gennaio 1944. Al suo ritorno redasse un rapporto nel quale spiegava che 206.700 ebrei mancavano in Bessarabia-Transnistria e 88.600 in Bukovina. Non rimarcò nulla di anormale in altre zone. Dopo l’esame di questo rapporto, si può pensare che la totalità di questi 206.700 + 88.600 = 295.300 ebrei romeni divenuti russi e che si trovavano nelle linee russe sia fuggita all’avanzare delle truppe tedesche, come fecero i suoi correligionari polacchi nel settembre 1939, e si sia salvata dalla deportazione tedesca. Ho detto: si può pensarlo, ma non è possibile accertarlo. Poliakov, nel citare questo rapporto (Breviario dell’odio, p. 371), ammette che “alla vigilia dell’attacco tedesco, una parte della popolazione ebraica ha potuto essere evacuata dai russi”. Poiché questo rapporto era fondato su un’inchiesta fatta nel 1943-44, ossia al momento nel quale gli ebrei non rischiavano più nulla in Romania, dato che non menziona nessun mancante altrove, si può con certezza concludere che, a quella data: 800.000 – 295.300 = 504.700 ebrei vi erano viventi e non sono stati arrestati, né deportati, né massacrati posteriormente. E si può pensarlo con maggior sicurezza in quanto ci si sente in certo modo garantiti dalla motivazione 119 della Sentenza di Gerusalemme che non registra nessuna deportazione di
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ebrei romeni da parte di tedeschi: e se ne avesse notata alcuna, ciò potrebbe essere solo anteriormente al 22 ottobre 1942, il che non può del pari essere vero, dato che fino a quell’epoca i tedeschi avevano sempre rifiutato di cedere alle sollecitazioni del governo romeno.
Coincidenza strana: questi 295.300 ebrei che Charles Kolb ha constatato non essere presenti in Romania, sono nei limiti dei “250.000 a 300.000” dichiarati dal Gran Rabbino come sterminati dai romeni. Da ciò si può pensare che siano gli stessi e che, per potere impiccare Antonescu, i russi che li avevano salvati abbiano sostenuto che era stato lui a sterminarli…
Raul Hilberg è ancora più sottile: dopo avere esaminate le malefatte dei Gruppi Speciali in Russia e aver integrato nella statistica della Russia gli ebrei da loro sterminati nelle città di Odessa, Chisinau Cernauti, ad esempio (op. cit. p. 190), egli fa il conto di quelli che mancano in Transnistria o si trovavano a Odessa dal 1941 al 1944 e in Bukovina dove si trovavano gli altri due, per integrarli nella sua statistica della Romania (pp. 485-509): vale a dire li conta due volte.
Conclusione per la Romania: per sapere esattamente quanti sono gli ebrei che devono esservi considerati mancanti nel 1945, bisognerebbe sapere anche molto esattamente quanti dei 295.300 mancanti recensiti da Charles KoIb alla fine del dicembre 1943/principio di gennaio 1944, sono stati evacuati dai russi e quanti sono rimasti sotto il controllo dei tedeschi e dei romeni. E questo non lo si sa. Bisognerebbe inoltre sapere quanti hanno emigrato: e deve essere un discreto numero poiché gli ebrei romeni erano, di tutti, i meglio situati, quelli che dovevano fare meno cammino e meno sforzi per abbandonare l’Europa. Ma se i russi avevano salvato la metà dei mancanti censiti da Charles Kolb e se l’altra metà, caduta nelle mani dei romeni, era stata massacrata nei pogroms d’Odessa, di Bucarest, di Ploesti, di Costanza, ecc… (cfr. sopra), la popolazione ebraica romena del 1939 si potrebbe suddividere così:
……………………………..295.300
— massacrati:………._________ = ………………………………147.650
…………………………………2
……………………………295.300
— salvati dai russi: …——–=……………………………………..147.650
………………………………..2

— emigrati o ritrovati vivi nel 1945: 800.000 – 295.300…..504.700
………………………………………………………………………………..——–
TOTALE ………………………………………………………………..652.350

— ufficialmente ritrovati vivi dal Centro di
documentazione ebraica ……………………………………………..425.000
…………………………………………………………………………………——–
………………………………………………………………..cioè………. 227.350

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i quali sebbene vivi nel 1945 sarebbero stati abusivamente portati nella colonna degli sterminati del Centro di documentazione ebraica. Quindi con qualche differenza ma con ogni verosimiglianza è ciò che è accaduto.
Ed ecco altri 227.350 ebrei europei che si vanno ad aggiungere ai 4.097.760 nel loro stesso caso, ritrovati al termine del nostro studio della popolazione ebrea italiana; per cui totalmente fino a questo momento del ragionamento:

4.097.760 + 227.350 = 4.325.110

4.325.110

BULGARIA

La statistica rappresentata alla pagina 109bis menzionava la Bulgaria, esclusivamente a titolo della sua popolazione ebrea del 1939 senza indicarne le perdite. Più tardi, il Centro di documentazione ebraica ha comunicato altre statistiche nelle quali figurava la Bulgaria con 7.000 sterminati su 50.000 persone alla data del 1939. Raul Hilberg ne trova 3.000 e la motivazione 108 della Sentenza di Gerusalemme tiene conto soltanto di 4.000 deportati dalla Tracia + 7.000 dalla Macedonia = 11.000, senza menzionare le perdite. Nessun problema: 50.000 nel 1939, 11.000 deportati di cui 7.000 sterminati e 43.000 superstiti. 17.000 sterminati sugli 11.000 deportati non sono giustificati da alcun fatto preciso: si ignora il luogo di provenienza e quello della destinazione. Poliakov, che commenta la statistica di cui è l’autore (Breviario dell’odio, p. 188), non può nemmeno citarsi fedelmente: 13.000 deportati su 20.000 in progetto, dice, ma nulla del numero dei sopravvissuti.

GRECIA

Stessa considerazione fatta per la Bulgaria. La statistica che ho citato a p. 109bis nota per la Macedonia separatamente 7.000 sterminati, senza che si possa sapere quanti erano gli ebrei nel 1939. In seguito, questa particolare menzione è sparita dalla statistica ufficiale e la Grecia vi resta sola con 75.000 ebrei alla data del 1939 e 60.000 sterminati alla data del 1945, dunque 15.000 superstiti. Raul Hilberg dà, a sua volta, le seguenti cifre: 74.000 nel 1939, 62.000 sterminati e 12.000 superstiti. La motivazione 107 della Sentenza di Gerusalemme parla di 80.000 nel 1939, 70.000 sterminati e 10.000 superstiti. Infine, Arthur Ruppin aveva già censiti 75.000 ebrei in Grecia nel 1926: emigrazione pari al naturale aumento? Possibile.
La Grecia era divisa in due zone d’occupazione: al Nord i tedeschi, che avevano il loro Quartier generale a Salonicco; al Sud gli italiani, che avevano stabilito il loro ad Atene. Gli ebrei si suddi-
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videvano in questa maniera: da 55.000 a 60.000 concentrati attorno a Salonicco in zona tedesca, da 15.000 a 20.000 nella zona italiana, concentrati anch’essi intorno ad Atene. Tutte le fonti ebraiche sono d’accordo nel dire che i tedeschi cominciarono a occuparsi degli ebrei greci soltanto dal luglio 1942 (obbligo di portare sugli abiti la stella gialla) ma unicamente nella zona tedesca: nella zona italiana, nessun provvedimento. Fu solamente nel febbraio del 1943 che cominciò il loro raduno nei ghetti a Salonicco e dintorni. Tali misure e operazioni furono condotte dal dr. Max Merten, amministratore della zona, con l’aiuto di due inviati del R.S.H.A., Wislisceny e Günther, con inizio dal 15 gennaio 1943. Poliakov sostiene (op. cit. p. 182) che le deportazioni cominciarono il 15 marzo ed ebbero fine il 9 maggio, per un primo tempo: 43.000 ebrei in 16 convogli (2.700 persone per convoglio, un treno ogni tre o quattro giorni; quindi, dove gli ebrei erano raggruppati, le operazioni di deportazione non erano così rapide come in Ungheria dove gli ebrei non raggruppati potevano partire in proporzione di 2-3 convogli di 3.000 persone per giorno: questa è la naturale conclusione) furono deportati ad Auschwitz. Quelli che rimanevano, una buona dozzina di migliaia, furono deportati nel luglio-agosto 1943 in tre convogli: in ragione, quindi, di 4.000 per convoglio, almeno. Il viaggio Salonicco-Auschwitz durava in media una decina di giorni e, precisa Poliakov, all’arrivo gli ebrei erano direttamente avviati in blocco alla camera a gas, senza preventiva selezione dei validi, talmente era cattivo il loro stato. Ed è quanto Wislisceny, affermando di averlo saputo da Höss, comandante del campo, ha sostenuto a Norimberga, ma Höss non l’ha confermato. La motivazione 107 della sentenza di Gerusalemme non è d’accordo con questo aspetto della deportazione degli ebrei greci: “I 56.000 ebrei della regione di Salonicco sono stati tutti deportati dal 15 marzo alla fine del maggio 1943”, dichiara; dunque non vi furono convogli in luglio-agosto, ma non precisa né il numero dei convogli, né il numero delle persone per ogni convoglio. L’avvocato Max Merten (condannato a 25 anni di prigione nel 1946 ma liberato quasi subito, testimone a difesa del Processo di Gerusalemme) afferma che, grazie a Eichmann e malgrado gli sforzi in senso contrario di Wislisceny, circa 20.000 ebrei sono sfuggiti alla deportazione. Pretende anche che, dopo l’imposizione della stella gialla (luglio 1942) e dopo la loro concentrazione nei ghetti (febbraio 1943), molti ebrei della zona tedesca raggiunsero la zona italiana; non essendo egli d’accordo con le misure di deportazione progettate, dato che a lui gli ebrei non causavano nessuna noia, egli non soltanto non vedeva in ciò nessun inconveniente ma li aiutò anche, per quanto gli riuscì senza destare l’attenzione di Wislisceny e di Günther. Ed è questa la ragione per la quale, dopo essere stato condannato a 25 anni di carcere, egli venne liberato.
Nella zona italiana gli ebrei non furono molestati che dopo il colpo di Stato di Badoglio nel settembre 1943. Le operazioni di
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deportazione vennero affidate a Wislisceny e a Günther. Davanti al Tribunale di Bratislava che lo condannó alla pena di morte, Wisliceny ha sostenuto (27 giugno 1947), in una deposizione scritta, che da 8.000 a 10.000 degli appartenenti alla zona italiana erano stati deportati. Per quanto si riferisce alla città di Atene, dice la motivazione 107 della Sentenza di Gerusalemme, “una grande parte di loro era riuscita, comunque, nel frattempo, a nascondersi e a prendere la fuga, di modo che non ne rimanevano più di 12.000”. Era necessario, quindi, ricercare gli altri, radunarli preventivamente; e per deportarne da 8.000 a 10.000, Wisliscenyha dovuto impiegare tutta la sua buona volontà e abbiamo visto che non ha tentato di diminuire la sua colpevolezza. Ammettiamo questa cifra e ragioniamo.
— Ignoriamo quanti ebrei sono riusciti a passare dalla zona tedesca in quella italiana, ma sappiamo che quelli di questa zona furono deportati con 19 convogli senza che ne rimanessero altri. Alla media di 2.000 persone per treno di 40 vagoni, stabilita e accettata nei nostri calcoli per l’Ungheria, raggiungiamo un totale di 2.200 x 19 = 41.800.
— Erano fuggiti nella zona italiana: 56.000 (cifra della Sentenza di Gerusalemme) – 41.800 = 14.200, ciò che porta la popolazione ebraica di questa zona, che doveva essere di 75.000 – 56.000 = 19.000, a 19.000 + 14.200 = 33.200.
Se, come dice Wislisceny, ne ha deportato da 8.000 a 10.000, ne dovevano restare 32.200 da 8.000 a 10.000 = da 23.200 a 25.200 superstiti per tutta la Grecia.
Esagerazione minima del Centro di documentazione ebraica: 25.200 – 15.000 = 10.200. A condizione che 19 treni siano veramente partiti da Salonicco trasportando ciascuno, in media, 2.200 persone, il che è possibile ma non certo.
Da aggiungere al totale ottenuto al termine dello studio della popolazione ebraica romena (cfr. p. 173):
4.325.110 + 10.200 =

4.336.310

Restano ancora da studiare: Germania, Austria, Danimarca, Norvegia.

GERMANIA

Se ne è già trattato a proposito dello studio della popolazione ebraica di Olanda, Belgio, Lussemburgo e della Francia (cfr. p. 141 e seguenti). Devo ricordare che quando le truppe tedesche invasero la Francia, le cifre di fonte ebraica facevano risultare 250.000ebrei stranieri dei quali era impossibile determinare la nazionalità; salvo una trentina o al massimo una quarantina di migliaia che erano tedeschi, gli altri erano tutti polacchi. Ricercando soltanto i superstiti europei non vi era alcun inconveniente dichiarandoli tutti polacchi (o tutti tedeschi), non essendo possibile definire il numero
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degli uni e degli altri. Ma, adesso, bisognerà tener conto dei 40.000 ebrei tedeschi che sono già stati contati, se non si vuole contarli due volte.
Ecco, dunque, come nel 1939 si presentava la struttura della popolazione ebrea tedesca: 210.000 rimasti in Germania, 300.000 emigrati su 510.000, secondo il Centro di documentazione ebraica. Hilberg dice: 240.000 rimasti in Germania e 300.000 emigrati su 540.000; se si tiene conto dell’aumento naturale, dovrebbe essere assai prossimo alla verità, ma non è così: dal 1926 al 1933, ci dice Poliakov (Breviario dell’odio, op. cit. p. 11), la curva demografica delle comunità ebraiche inquiete per la loro sorte a causa dell’ascesa del nazismo, era in decrescenza. Diciamo 210.000 ebrei in Germania nel 1939. Ufficialmente, 40.000 soltanto sarebbero stati ritrovati vivi nel 1945, il che significa 170.000 sterminati.
A conferma dei dettagli che egli fornisce per giustificare questi 170.000 sterminati e questi 40.000 superstiti, Poliakov invoca la statistica redatta, su richiesta di Himmler (il 17 aprile 1943) in data 31 dicembre 1942, e che oggi presenta come: “elaborata con molta competenza” (Breviario dell’odio, op. cit. pp. 383-394). Sono convinto che il tedesco Korherr deve esser stato un uomo competente ed è questa la ragione per la quale io stesso mi sono riferito alle sue informazioni: forse, ha una spiccata tendenza a vedere un po’ troppi ebrei ovunque. Ma detto questo, accetto il quadro del giudaismo tedesco tale quale egli lo vede in data 31 dicembre 1942, e non riesco a capire veramente come Poliakov, che l’accetta del pari, abbia potuto leggerlo per trarne le conclusioni che ne trae. Ecco ciò che vi è scritto, nel quadro riassuntivo, rispetto agli ebrei tedeschi:

— arrestati in tutto fino al 31 dicembre 1942…100.516
— non ancora arrestati .. . . . . . . . . . . . . . . . . . .51.327
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .——–
Totale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .151.843

Questa situazione è presentata, sì, come concernente “il vecchio Reich e i Sudeti”, ma ciò è privo d’importanza: il 17-5-1939, non rimanevano nei Sudeti che 2.649 ebrei, gli altri essendo fuggiti in Boemia-Moravia, poi in Ungheria, poi… Con l’approssimazione di un migliaio, tanto da poter dire che questo bilancio non concerneva che la Germania.
Ripeto: Poliakov accetta queste cifre.
Ma, se in Germania non restavano che 151.843 ebrei al 31 dicembre 1942 (liberi o in campo di concentramento) e se non si era riusciti ad arrestarne in tutto che 100.516, ciò significa che 210.000 – 151.843 = 58.157 erano riusciti a emigrare posteriormente al 1939. Ciò significa anche, d’altronde, che posteriormente al 31-12-42, non è stato possibile arrestarne più di 51.327. Il 1· luglio seguente, tutto era compiuto: la legge che dichiarava la Ger-
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mania “Judenfrei” (liberata dai suoi ebrei) fu promulgata e, dice Poliakov, “non restava più un solo ebreo in libertà salvo i congiunti di Ariani” (op. cit. p. 68) i quali erano 16.760 come dice Korherr nel suo rapporto. E’ noto che, più tardi, anche questi furono a loro volta arrestati e deportati, almeno ufficialmente.
Correggiamo adesso l’errore obbligato che deliberatamente avevamo commesso decretando — allora non potevamo fare altro che risolvere il problema col procedimento elementare, ben noto, della falsa supposizione — a proposito dei 40.000 ebrei europei ritrovati vivi in Olanda, Francia, Belgio e Lussemburgo, che essi erano polacchi, ben sapendo che non lo erano affatto: essi si trovano tra questi 58.157 ebrei che hanno abbandonato la Germania posteriormente al 1939 e prima del 31-12-1942 e furono compresi nello studio della popolazione ebrea polacca. Se non vogliamo contarli due volte, bisogna sottrarli dagli emigranti tedeschi e non considerare nel numero di questi che 58.157 – 40.000 = 18.157. .

18.157

E calcoliamo il numero di ebrei tedeschi che, essendo stati arrestati e deportati, possono non essere più tornati:
se dei 151.843 il Centro di documentazione ebraica ne ha trovati 40.000 sopravvissuti nel 1945, vuol dire che
151.843 – 40.000 = 111.843 non sono più ritornati (non erano ritornati nel 1945). Dato che il Centro dichiara
170.000 ebrei nella colonna degli sterminati, il risultato in eccesso è: 170.000 – 111.843 = 58.157

58.157
——-

Totale degli ebrei vivi considerati come morti, che
ufficialmente non sono più in Germania e neppure in Europa
e devono figurare nella colonna dei viventi in un paese
di un altro continente: 18.157 + 58.157 = . . . . . . . . . . 76.314

Da aggiungere al totale trovato al termine dello studio della popolazione ebrea greca (cfr. p. 175) ossia:
4.335.310 + 76.314 =

4.411.624

Mi si scusi se ho trattato il caso degli ebrei tedeschi senza riferimento alcuno alla Sentenza del Tribunale di Gerusalemme: nelle sue motivazioni (56, 57, 77, 82, 90, 91) che danno il totale, essa può a malapena giustificare 10.000-15.000 arrestati e deportati. Sottolineare il ridicolo che la caratterizza da capo a fondo sarebbe equivalso a rendere ridicoli se stessi, prendendo ciò, non dico seriamente, ma semplicemente in considerazione (45).
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AUSTRIA

Nel 1939, il Centro di documentazione ebraica annovera 60.000 ebrei che ancora vi si trovavano (cifra calcolata in base a 240.000 tenendo conto di una emigrazione di 180.000 dopo l’ascesa al potere di Hitler in Germania) e 200.000 superstiti ritrovati nel 1945, ossia 40.000 sterminati. Arthur Ruppin contava 230.000 ebrei austriaci nel 1926: stesso caso degli ebrei tedeschi in relazione alla curva demografica e all’aumento naturale.
La letteratura sionista non è molto prolissa sulla situazione degli ebrei austriaci. E nemmeno la Sentenza di Gerusalemme. Studiata complessivamente, con gli ebrei tedeschi e quelli di Boemia-Moravia (v. nota 45), questa sentenza (con le stesse motivazioni) fa risultare l’arresto e la deportazione di 5.000 ebrei il 15 ottobre 1941 e di altri 3.000 il 25, 28 novembre e il 2 dicembre seguenti. In data 1943-44, il Rapporto Kasztner e Joël Brand notano una comunità ebrea clandestina e relativamente poco perseguitata, della quale non danno il numero dei componenti ma che, a giudicare dai termini nei quali ne parlano, doveva essere piuttosto importante. La motivazione 97 della Sentenza di Gerusalemme nota che in Austria gli arresti e le deportazioni non erano di competenza del R.S.H.A.,come ovunque altrove, ma del Centro di emigrazione ebrea creato a Vienna da Eichmann nel 1938 e che funzionò per tutta la durata della guerra: questo spiega con certezza la persecuzione e gli arresti meno zelanti e meno brutali. In data 31 dicembre 1942, la statistica del tedesco Korherr (op. cit.) dice che in tutto, furono arrestati 47.655 ebrei e che ne rimanevano 8.102 in libertà. Ciò significa in totale e per tutta la durata della guerra 47.655 + 8.102 = 55.757 e soltanto 60.000 – 55.757 = 4.243 emigrati posteriormente al 1939. Ma significa anche: se di questi 55.757 ebrei solamente 20.000 sono stati ritrovati vivi nel 1945, l’esagerazione del Centro di documentazione ebrea non sarebbe che di questi 4.243 emigrati posteriormente al 1939, abusivamente considerati come morti. Ripeto: se solamente 20.000 sono stati ritrovati viventi. Ora, già ho sottolineato che il bilancio delle perdite ebree è stato compilato entroil maggio e l’ottobre 1945 — porta la data di agosto, precisa Poliakov (Il III Reich e gli ebrei, op. cit. p. 196) — per poter essere messo con sollecitudine a disposizione del giudice Jackson e, in quel “maquis” di displaced persons che era allora l’Europa centrale, molti ebrei che erano stati deportati e erano vivi, non erano
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ancora ritornati al loro precedente domicilio. Tutti costoro sono stati considerati come morti e poi, se sono stati ritrovati vivi al loro domicilio o altrove (molti anche, non vi sono più tornati), nessuna correzione è stata fatta nelle statistiche.
Conclusione per l’Austria: 4.243 ebrei europei certi da reintegrare nella colonna dei vivi delle statistiche in data 1945 e da aggiungere al precedente totale, ossia:
4.411.624 + 4.243 =

4.415.867

DANIMARCA E NORVEGIA

Per finire: 7.000 ebrei in Danimarca nel 1939 e 1.500 in Norvegia, dice il Centro di documentazione ebraica. Totale: 8.500 per i due paesi. Totale degli sterminati = 500 in Danimarca (nei giorni precedenti quello previsto per il loro arresto, il governo danese aveva avvertito la comunità ebrea nazionale) e 900 in Norvegia = 1.400. La Sentenza di Gerusalemme dà il totale delle perdite, salvo la differenza di una unità: 737 in Norvegia e 422 in Danimarca = 1.159.
Esagerazione del Centro di documentazione ebraica: 1.400 – 1.159 = 241. Si può considerare questa esagerazione come un arrotondamento delle cifre, vale a dire che non è intenzionale.
Da aggiungere comunque al totale precedente, di cui (ad eccezione di 480.000 ebrei tedeschi e austriaci emigrati prima del 1939 che vi figurano e sono stati riconosciuti viventi, da tutti, nel 1945), si può dire che è il totale degli ebrei europei abusivamente iscritti nella colonna degli sterminati nella statistica del Centro di documentazione ebraica:
4.415.867 + 241 = .

4.416.108

Totale generale della distorsione:


4.416.108

Note
(18) Cfr. Il vero processo Eichmann (p. 82).
(19) Die Welt non lo dice, ma queste cifre sono estratte da uno studio pubblicato alcuni giorni prima dal The Jewish Communities of the World, organo ufficiale del World Jewish Congress. Ripetute da: The Jerusalem Post Weekly il 19-4-63, e poi da tutta la stampa mondiale, a date diverse. E’ anche opportuno precisare che per l’anno 1962, il World Almanach del 1963 parla (p. 259) di una popolazione ebrea mondiale di 12.296.180 persone. In altre parole, in rapporto al 1959 la popolazione mondiale ebrea non soltanto non è aumentata, ma ha registrato una diminuzione.
(20) Testo originale: “JOINT ASSAULT ON PROBLEM.
“The nation’s major religious groups, representing more than 40 Protestant, Eastern Orthodox, Roman Catholic, and Jewish denominations have joined forces to tackle one of the countries thorniest domestic problems: Race relations.
“They have called the first National Conference on Religion and Race to be held next January in Chicago. About 600 clerical and lay leaders, representing nearly 100,000,000 Americans, are expected to participate. One stated objective of the conference is to demonstrate the concern of religious leaders over racial segregation by a statement of conscience.
“Participating will be the National Council of Churches, an organisation of 33 Protestant and Eastern Orthodox denominations with nearly 40,000,000 members; The National Catholic Welfare Conference, the administrative agency of Catholic bishops (there are 43,000,000 Catholics in the nation); and the Synagog Council of America, which is representative of Jewish bodies at the national level. (Rabbinic bodies of Orthodox, Conservative, and Reform Judaism are represented. There are about 12,000,000 Jews in the United States).
(21) Incaricato del corso di Sociologia ebraica all’Università ebraica di Gerusalemme. La sua opera principale: Gli ebrei nel mondo moderno dalla quale il Menorah Journal ha estratte le cifre che seguono, non è stata pubblicata in Francia, presso Payot, che nel 1934.
(22) In questa versione della genealogia dei popoli, gli arabi che discendono anche loro da Noé — come tutti del resto! — ma per la relazione di Abramo con Agar, la serva della propria moglie Sara, sono considerati come il ramo illegittimo; e noi che ne discendiamo “solamente” per Giafet, come coloro che non ne discendono che per Canaan, maledetto dal Vecchio, come le linee collaterali e fino alla fine delle stirpi, degenerate e per di più prive di reputazione, per sempre, essendo sprofondati in tutte le eresie. Tale è la giustificazione fondamentale della qualifica di “popolo eletto”, che Israele pretende — grazie mille! — e che viene insegnata come un dato storico in tutte le università ebraiche. Alle soglie del XXI secolo!
(23) Il celebre cantante negro Sammy Davis è ebreo, “nero, ebreo e monocolo”, come si compiace di cantare in un lupanare, non meno celebre, di Parigi, il “Keur-Samba”, sotto il patronato della baronessa Alix de Rothschild.
(24) Prima di questa data, Sisebruto, re visigoto, li aveva scacciati dalla Spagna (613) con tutto quello che era di origine orientale, e anche il re Dagoberto di Francia (629); ma questi bandi erano stati di breve durata.
(25) In seguito alla misura del bando, essi vengono respinti dall’Inghilterra (1220), dalla Francia (1394), dalla Spagna (1492).
(26) The Jerusalem Post Weekly 19-4-63 (op. cit. cfr. pag. 108 nota 1) dice: 2,3 milioni. D’altra parte, nel suo libro Il popolo e lo Stato d’Israele, Ben Gurion dice 2 milioni nel 1958 (p. 66). Se nel l962 non ve ne sono che 2,045 milioni, vuol dire semplicemente che il tasso d’aumento naturale dell’l% per anno non è raggiunto in Israele, ma ancora che l’immigrazione si è arrestata. Si potrebbe persino parlare di emigrazione…
(27) Totale dei numeri sottolineati.
(28) Se si rifacessero questi calcoli, iniziando dal tasso annuale medio di aumento naturale dell’1,25% (o del 20% ogni 16 anni) del prof. Shalom Baron, l’aumento globale per il periodo 1931-1962 si troverebbe portato a 523.508 unità, ossia aumentato di 92.046; e il numero reale degli attuali immigranti, viventi nel paese, diminuito di altrettanto, ossia ricondotto a: 1.444.128-92.046 = 1.352.082.
(29) Il professor Albert Meister, in uno studio destinato agli allievi della Scuola di Studi commerciali superiori (Principi e tendenze della pianificazione rurale in Israele, Parigi 1963) sostiene che “un immigrante in Israele su dieci (ossia il 10%) ritornerebbe nella Diaspora”, dopo un breve soggiorno.
(30) Quando l’aereo che, in più viaggi, li ha riportati in quella Terra Promessadi cui avevano perso la speranza e della quale la maggior parte di essi ignorava persino l’ubicazione, dice press’a poco Léon Uris (Exodus), hanno dapprima pensato alla fine del mondo annunciata dalle Scritture per “il giorno nel quale gli uomini voleranno”. E sono arrivati in Israele per scoprire cose insospettate da loro, come: una tavola, una sedia, una forchetta, ecc…, ma anche con la convinzione di essere “il popolo eletto” predestinato ad assumere, nel XX secolo, la responsabilità dell’avvenire del mondo.
(31) Per evitare una ripetizione fastidiosa non ho fatto il calcolo per esteso al lettore: ma se sente il bisogno di una verifica, può procedervi lui stesso: il metodo è quello dato alle pagine seguenti per presentare calcoli in tutto e per tutto identici.
(32) Tuttavia, il World Almanac del 1945 non ne nota che 240.000 (p. 494).
(33) Un altro machiavellismo di Norimberga: ogni volta che gli accusatori presentavano un’accusa, della quale non volevano o non potevano divulgare la fonte, usavano l’espressione: “in tutta conoscenza di causa” o “da fonte certa” — generalmente si trattava di fonte ebraica — agli accusati spettava dare la prova della loro innocenza. Perché, a Norimberga, non era l’accusa che doveva dare la prova della colpevolezza ma l’accusato che doveva dare quella della sua innocenza. Con qualche eccezione, si capisce.
(34) Gli ebrei cecoslovacchi passati in Ungheria vi sono stati arrestati alla rinfusa coi loro correligionari polacchi e iugoslavi senza distinzione di nazionalità. I superstiti e i deportati che risulteranno dai calcoli nel capitolo sull’Ungheria non potranno, del pari, essere distinti gli uni dagli altri poiché nessun dato lo permette. Questo, che può avere la sua importanza al livello delle perdite per nazionalità, non ne ha alcuna al livello delle perdite europee, ed è quanto noi cerchiamo.
(35) La sentenza del Tribunale di Gerusalemme dice 480.000 nella motivazione 111.
(36) Cifra confermata dalla motivazione 111 del Tribunale di Gerusalemme.
(37) 300.000 dice il dr. Kasztner (“800.000 di cui 500.000 sono stati deportati”, p. 1 del suo Rapporto).
(38) Cifra data dal dr. Kasztner, come ricevuta da Eichmann stesso.
(39) In Francia e Germania i vagoni merci sono più grandi che in Polonia, in Cecoslovacchia e in Ungheria, ne ho fatto l’esperienza quando abbiamo evacuato Dora nell’aprile del 1945 a 80 per vagone in un treno formato appunto da questi ultimi: vi eravamo così stretti, se non più che in 100 in un vagone francese.
(40) Si può capire ciò che sarebbe accaduto nel sistema di Joël Brand: “Ogni giorno — dichiara agli ebrei di Costantinopoli nel prendere contatto con loro verso il 18 giugno 1944 — 12.000 ebrei sono gettati nei vagoni” (Storia di Joël Brand, p. 125). Conclusione: 4 treni al giorno e il sistema sarebbe stato bloccato prima della sera del quinto giorno!
(41) Ad Auschwitz, i “bagagli”, così ricuperati dall’amministrazione del campo, erano riuniti in un angolo del campo stesso che, secondo le planimetrie ufficiali presentate a Norimberga e ad altri processi, comprendeva 30 blocchi isolati gli uni dagli altri e severamente custoditi: “Il Canadà”, lo chiamavano i detenuti. La tesi ufficiale dice che all’avvicinarsi delle armate russe le guardie SS cercarono di darvi fuoco senza riuscirvi. Al loro arrivo, le truppe russe trovarono nei sei blocchi riservati all’abbigliamento: 348.820 completi per uomo, 836.525 completi per donna, ma soltanto 5.255 paia di scarpe per uomo e 38.000 paia di scarpe per donna. Vi erano anche 13.694 tappeti (Auschwitz, Comunicazione ufficiale della Commissione del Museo di Auschwitz-Panstwowe museo W. Oswiecimiu, edita a Cracovia nel 1947). Si ha così l’idea di tutto quello che gli ebrei portavano con sé. Le donne rimanevano donne anche nelle peggiori circostanze: basta paragonare ciò che si è trovato loro addosso con ciò che è stato trovato sugli uomini. Altre baracche contenevano oggetti di valore i più disparati. La Commissione non ne dà l’elenco né la stima in valore commerciale, ma occorsero treni e camions per portar via ogni cosa. Tutti questi oggetti occupavano sicuramente molto spazio nei vagoni “di 70 a 100 persone e anche più” di cui parla la motivazione 154 della Sentenza di Gerusalemme. Conclusione: nei vagoni degli ebrei che trasportavano anche tante cose, vi erano meno persone e negli altri più del previsto.
(42) In realtà, dice: da 57.000 a 62.000.
(43) In Breviario dell’odio precisa persino: “3.000 deportati, in tutto, dalla Croazia”.
(44) Sono state decise il 19 gennaio 1943 per la Croazia e non sono seriamente cominciate che dopo l’arrivo di Krumey il 16 ottobre 1943. Furono messe in atto nel marzo 1942.
(45) Si deve tuttavia sottolineare qui il metodo dei giudici di Gerusalemme: il caso degli ebrei tedeschi è studiato nella loro sentenza complessivamente con quello degli ebrei austriaci e della Boemia-Moravia. Per dissimulare il ridicolo del numero degli ebrei tedeschi dei quali essi erano in grado di dare un resoconto, e contrariamente al metodo da essi adottato per gli altri paesi, essi non hanno fatto il totale. Per dare l’impressione di una quantità considerevole, hanno incluso nel caso degli ebrei tedeschi quello di 55.000 polacchi che si trovano in Germania, quando, il 7 ottobre 1938, il governo polacco decise di privarli della nazionalità polacca, non rinnovando loro il passaporto per il suo territorio nazionale. In questo modo, erano apolidi e la Germania d’allora non voleva gente senza passaporto sul suo territorio nazionale. La Polonia che li aveva resi tali, nemmeno. Come nessun’altra nazione: fu un dramma orribile che, come è noto, fu all’origine dell’assassinio del consigliere vom Rath a Parigi il 7 novembre 1938, compiuto da Grynspan, figlio di uno di questi 55.000 ebrei polacchi, e della “Kristallnacht” dal 9 al 10 novembre in Germania.

 

( Fonte: www.vho.org )