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REPUBBLICA ARABA SIRIANA: UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE

30 Dic

REPUBBLICA ARABA SIRIANA: UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE –

 

LA STRAGE DI NATALE A DAMASCO PUNTO DI NON RITORNO DELLA STRATEGIA DI DESTABILIZZAZIONE ATLANTICO-SIONISTA

 

 

 

 

 

 

– di Dagoberto Bellucci

 

 

 

 

 

Il terrorismo di matrice fondamentalista salafita ha colpito il cuore della capitale siriana Damasco l’anti-vigilia di Natale.

 

Un attentato quello che il 23 dicembre scorso ha preso di mira il quartier generale delle forze di sicurezza siriane (Mukhabarat) che si inserisce nel più vasto piano di destabilizzazione della Repubblica Araba Siriana ed alza il livello di scontro tra le forze lealiste, fedeli al Governo a guida ba’athista diretto dal Presidente Bashar el Assad, e la cosiddetta “opposizione” , eterogenea accozzaglia di elementi dietro ai quali si celano gli interessi di Stati Uniti e alleati occidentali.

 

Il complotto contro la sovranità nazionale siriana continua.

 

Inutile riproporre le notizie riportate quotidianamente in questo spazio informatico dal sito ufficiale dell’agenzia-stampa siriana “Sana”: chiunque potrà farsi un’idea da sé della vastità del complotto prendendo visione delle operazioni volte ad abbattere il legittimo esecutivo e la leadership del Presidente al Assad.

 

Sottolineiamo soltanto che in Siria si è alzato pericolosamente il livello di scontro. L’attentato di Damasco, il primo di questo livello nella capitale siriana negli ultimi quarant’anni, può segnare un punto di non ritorno nella contrapposizione tra forze nazionali e opposizioni al servizio dei potentati stranieri.

 

Un attentato perpetrato dalle stesse mani che, in questi ultimi nove mesi, hanno già messo a ferro e fuoco decine di città e villaggi siriani.

 

Mani lorde di sangue: del sangue degli oltre duemila tra militari e poliziotti impegnati a riportare l’ordine e la calma nel paese; del sangue di tanti civili innocenti vittime di un terrorismo che appare sempre più funzionale alle logiche atlantico-sioniste di destabilizzare il solo regime arabo che si oppone all’occupazione sionista della Palestina.

 

Attentato giunto peraltro meno di ventiquattro ore dopo l’arrivo della prima delegazione di osservatori della Lega Araba e che, sicuramente, si inquadra in un processo di imbarbarimento del conflitto in corso in Siria.

 

Le centrali del terrorismo atlantiche hanno confezionato un’aggressione contro la Siria di Assad che puntava al sovvertimento delle strutture del regime attraverso una attenta e studiata regia eterodiretta da Washington con l’avallo di Londra e Parigi (e di tutta la Unione Europea co-responsabile del dramma che si sta consumando in terra siriana) e il sostegno operativo della Turchia.

 

Ankara si è dimostrata in questi ultimi nove mesi come la testa d’ariete dell’aggressione occidentale contro Damasco: è sul territorio turco, ai confini settentrionali della Siria, che si trovano le basi militari dei gruppi della cosiddetta “opposizione”; ed è proprio dai valichi di frontiera con la Turchia che entrano in Siria armi e mercenari.

 

Notizia riportata peraltro nei giorni scorsi anche dal sito “Debka”, notoriamente controllato dai servizi d’intelligence sionisti, che ha espressamente parlato di un numero superiore alle duemila unità di mercenari – un migliaio dei quali di nazionalità libica – stazionanti in territorio turco oltre la frontiera con la Siria e pronti ad entrare in azione.

 

Il mercenariato al-qaedista salafita che ha insanguinato la Libia è stato funzionalmente posizionato in Turchia per portare ulteriore scompiglio alla sovranità nazionale siriana.

 

Anche i rapporti informativi provenienti dal vicino Libano, divulgati dal Ministero degli Interni di Beirut nei giorni scorsi, confermano l’esistenza di cellule terroristiche fondamentaliste pronte ad entrare in azione e di numerosi elementi pronti a passare la frontiera per esportare il loro terrore in territorio siriano.

 

Una volta di più la sigla Al Qaeda serve gli interessi dei suoi tutori americano-sionisti.

 

A dare manforte all’azione di provocazione dell’Occidente sono stati i media arabi: “Al Arabijah” e “Al Jazeera” mai come in questa occasione megafoni della propaganda “made in USA” contro il regime di Assad.

 

E, dulcis in fondo, visto che non si è cavato il classico ragno dal buco utilizzando mercenari , specialisti del terrore e gangs teppistiche si è cercato di alzare il livello di scontro con l’azione terroristica che ha provocato la morte di 44 persone e il ferimento di altri 160 innocenti colpendo due strutture del potere del Ba’ath.

 

Nonostante questo attacco concentrico, nonostante le ripetute azioni terroristiche che quotidianamente mietono vittime in diverse città e villaggi del paese e nonostante i ripetuti tentativi in sede ONU prima (azione sventata dal veto posto da Russia e Cina a risoluzioni di condanna contro il governo di Assad) e attraverso la Lega Araba poi (troppo influente comunque e storicamente determinante il ruolo di Damasco per bandirla e demonizzarla) per ricattare la leadership siriana mediante atti sanzionatori della sua politica legittima di auto-difesa; nonostante tutto questo  la Repubblica Araba Siriana resiste contro tutto e tutti.

 

Secondo molti osservatori di politica in Libano e nel mondo arabo proprio l’aver ordito un attentato delle dimensioni di quello che ha portato sangue e morte nella capitale siriana 36 ore prima di Natale conferma l’assoluta mancanza di una strategia da parte delle “opposizioni”.

 

Molti vedono dietro questo vile gesto terroristico soltanto la disperazione di chi , all’interno del paese, non ha alcun seguito reale mentre, quotidianamente, sono smantellate cellule di mercenari e cadono in mano ai servizi di sicurezza siriani ed alla polizia armi e uomini.

 

Segnali che farebbero pensare che l’opposizione anti-nazionale sia allo sbando nonostante il sostegno finanziario e quello militare ricevuto da Occidente, Turchia e paesi del Golfo di quell’Islam ‘americano’ che fa capo all’Arabia Saudita e vede nel Bahrein e nel Qatar due delle principali succursali degli interessi geostrategici statunitensi.

 

 

Mentre gli osservatori della Lega Araba proseguono la loro missione di monitoraggio della situazione e dalla diplomazia russa e cinese continuano ad arrivare attestati di solidarietà e amicizia ai dirigenti siriani questi ultimi hanno rimesso in libertà due giorni fa altri 755 detenuti rei di aver partecipato alle rivolte degli scorsi mesi.

 

Si tratta del quarto blocco di oppositori che viene rilasciato.

 

Fino ad oggi sono stati rilasciati più di 3000 cittadini detenuti per reati politici collegati con le manifestazioni anti-regime: il 5 novembre ne furono liberati 535 seguiti nello stesso mese da altri 1180 (il 15 novembre) e poi da un ulteriore numero di 912 (il 30 novembre).

 

E’ la politica di distensione promessa e attuata da Assad. Tutti i detenuti che hanno ritrovato la libertà non sono implicati in atti di terrorismo o azioni mortali contro le forze di sicurezza, i militari, la polizia o i civili.

 

 

Intanto il programma di riforme costituzionali va avanti e si costituiscono nuovi partiti sebbene resti l’incertezza per il prossimo futuro: come potrà evolvere la situazione interna siriana è domanda a cui apparentemente sembrerebbe arduo rispondere oggi.

 

Troppe infatti le pressioni che continuano a premere ai fianchi della dirigenza siriana. E troppe soprattutto le incognite collegate, direttamente o indirettamente, alla situazione geopolitica regionale.

 

Pericolosi venti di guerra soffiano su tutto il Vicino Oriente rischiando di tempestare per prima proprio la Siria principale ‘target’ dell’offensiva delle forze alleate del fondamentalismo salafita, dell’imperialismo statunitense, della rinata grandeur franco-britannica e del revanscismo di Ankara.

 

Il 2012 sarà un anno determinante per tutta la regione: Siria e Iran appaiono nel mirino come mai prima; le formazioni della resistenza islamica di Hizb’Allah in Libano e di Hamas a Gaza restano in stato di massima allerta; si riapre il fronte iracheno appena abbandonato dalle ultime truppe statunitensi e dove resta altissima ed insidiosa la minaccia terrorista.

 

La domanda è sempre quella: scateneranno la guerra ebraica – perché di guerra ebraica ovviamente si tratta – gli Stati Uniti d’America contro la Repubblica Islamica dell’Iran ed i suoi alleati arabi?

 

La guerra per procura che l’America dovrà combattere rischia di precipitare l’intero Vicino Oriente in una tragedia le cui dimensioni non sono minimamente percettibili ma di cui nessuno osa immaginare le possibili conseguenze per la politica e l’economia mondiali.

 

Avranno a Washington il coraggio di prendere un’iniziativa bellica fino ad oggi rimandata e che si potrebbe risolvere in una vera e propria disfatta per il gendarme planetario a stelle e strisce?

 

Non crediamo assolutamente che l’America abbia la capacità e soprattutto le volontà per rischiare così tanto: gli americani, per quanto vi siano tra le fila dell’Establishment una serie di falchi pronti a tutto, conoscono esattamente i pro ed i contro, ciò che realmente significherebbe, di un eventuale aggressione contro Teheran e quindi, alla fine, non ne faranno niente.

 

Anche le attuali ‘agitazioni’ navali a stelle e strisce attorno allo stretto di Hormuz rispondono a questa verità fattuale: che il vecchio Zio Sam è già uscito con le ossa troppo rotte dal perimetro geostrategico iracheno e continua a perdere di credibilità anche in Afghanistan per pensare ad una guerra diretta contro la Repubblica Islamica dell’Iran che, militarmente e politicamente, non è né l’Irak né l’Afghanistan ma uno Stato sovrano di oltre 70 milioni di abitanti centro geopolitico del fronte anti-mondialista planetario.

 

La Siria, alleata di Teheran, probabilmente rimarrà sotto attacco per qualche altro mese, poi auspichiamo un sacrosanto ‘ripulisti’ ed una normalizzazione che elimini definitivamente qualsiasi sacca di terrorismo e fondamentalismo pro-occidentale dal paese.

 

Un dato: l’asse Teheran-Damasco-Beirut esce rinsaldato dai tentativi egemonico-destabilizzanti sionisti e statunitensi.

 

Il 2011 si chiude con un amaro bilancio per le forze della Sovversione planetaria, il Grande Satana a stelle e strisce e l’entità criminale sionista:

 

–         l’entità sionista ha visto il riconoscimento della nazione palestinese presso le sedi internazionali dell’ONU  e della FAO;

–         “Israele” nonostante un grande attivismo diplomatico presso paesi “amici” o vicini risulta sempre più isolato a livello regionale;

–         per i criminali di Tel Aviv si deve anche ricordare lo smacco subito ad inizio anno con la perdita di un alleato storico qual’era l’ex rais Hosni Mubarak al Cairo;

 

 

Se “Israele” piange l’America non ride. Nell’ordine ecco i motivi per cui a Washington non possono dormire sonni tranquilli:

 

–         la crisi economico-finanziaria continua ad attanagliare Wall Street e si ripercuote sui malumori della società e dell’elettorato americano…ricordiamo che tra un anno ci saranno le elezioni presidenziali e la corsa alla casa bianca è sempre momento di rielaborazione delle strategie e, di norma, riflusso della politica estera USA;

–         gli americani hanno abbandonato l’Iraq dopo 8 anni e mezzo di occupazione militare ma resta la situazione afgana ad impensierire l’amministrazione Obama oltretutto ai ferri corti con il riottoso alleato pakistano;

–         il braccio di ferro con l’Iran al momento non vede Washington in posizione favorita;

–         l’aver  cercato di cavalcare la tigre delle cosiddette rivoluzioni della primavera araba potrebbe rivelarsi, per gli americani, un insidioso boomerang come hanno dimostrato le recenti elezioni che in Tunisia e in Egitto hanno visto trionfare movimenti d’ispirazione islamica come l’Ennadah di Gannouchi e i Fratelli Musulmani… Ancora da verificare comunque se queste organizzazioni radicali islamiche ‘punteranno’ l’Imperialismo o non fungeranno da ennesimi ‘cavalli di troia’ dell’Occidente;

 

L’Europa non ha voce in capitolo. L’agitazione franco-britannica è esclusivamente a rimorchio delle strategie americane e come tale non fa testo.

 

La Francia, ritornata prepotentemente attiva nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente arabo, ha in Nicolas Sarkozy il principale alleato della lobby: le sue ascendenze etniche ne fanno un sicuro paladino degli interessi sionisti in Europa, in questo coadiuvato da tutti gli altri esecutivi dell’U.E.

 

I turchi si stanno rivelando come gli utili idioti della NATO.

 

I paesi dell’area del Golfo non dormono d’altro canto sogni tranquilli: in Bahrein continua la protesta dell’opposizione sciita contro il dispotismo della monarchia locale mentre anche nella stessa Arabia Saudita – verso il quale continuano ad andare i favori e soprattutto nuovi armamenti da parte dell’amministrazione americana (notizia di ieri la vendita di oltre 80 F-15 made in USA per le forze aeree del regno wahabita) – si levano voci di protesta che potrebbero portare anche a Riad una ventata di fermenti rivoluzionari.

 

L’unico ‘punto’ essenziale finora ‘segnato’ dagli atlantici è stato conquistato in Libia con la caduta e poi l’eliminazione fisica e politica di Muhammar Gheddafi.

 

Ma anche a Tripoli l’Occidente non può permettersi di cantar vittoria: i nuovi padroni della Libia, eterogenea commissione di elementi laici e del fondamentalismo religioso molti dei quali legati proprio ad Al Qaeda (sembra essersene accorta anche la CNN che oggi cita un dispaccio del Dipartimento di Stato e mette l’accento sul ruolo degli estremisti nel futuro esecutivo libico); potrebbero alzare il tiro e la posta…non è detto che il cagnolino non azzanni il padrone….

 

La ‘partita’ dunque è ancora tutta da giocare.

 

Vedremo chi rimarrà in piedi….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dagoberto Husayn Bellucci

 

Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

 

30 Dicembre 2011

 

 

BOLIVIA – Morales pide unidad y nuevas iniciativas para fortalecer proceso de cambio

30 Dic
Morales pide unidad y nuevas iniciativas para fortalecer proceso de cambio
 

El presidente Evo Morales (ABI)

    Eterazama, BOLIVIA, 29 dic (ABI).- El presidente Evo Morales pidió unidad y nuevas iniciativas para fortalecer el proceso de cambio al inaugurar la evaluación anual de las seis Federaciones del Trópico de Cochabamba que se realiza en la población de Eterazama.

    El Jefe de Estado, que participa en esa evaluación acompañado del vicepresidente Álvaro García Linera y los ministros de Economía y Finanzas Públicas, Luis Arce y de Desarrollo Productivo y Economía Plural, Teresa Morales, pidió debatir de manera abierta todos los temas de la coyuntura política y social del país.

    “Compañeras y compañeros así nos hemos educado y ahora quisiéramos también escuchar sus preocupaciones, nuevas iniciativas de cómo fortalecer este proceso, innovar nuevas ideas para fortalecer nuestros sindicatos”, subrayó.

    Morales recordó que ese tipo de debates ha sido siempre una tradición de los movimientos sociales, de evaluar los temas nacionales en defensa de la soberanía y la dignidad “del pueblo boliviano y no solamente de los cocaleros”.

    “Por eso compañeras y compañeros tiene mucha importancia nuestra organización y este principio debe continuar junto a todos los sectores sociales cívicos, vecinos”, sustentó.

    En esa dirección, advirtió sobre intenciones de la “derecha” de dividir a los movimientos sociales, como sucedió en otras oportunidades y coincidió con el Vicepresidente que pidió el miércoles cuidarse de las “malinches”, en alusión a una indígena mexicana que colaboró con los españoles para la conquista de México.

    El Primer Mandatario recordó que antes de llegar a la Presidencia, los sindicatos estaban organizados y atendían las demandas de sus sectores ante el abandono del Estado, construyendo escuelas, caminos, postas sanitarias.

    “El Estado colonial solo estaba  con los gringos, estaba con policías  y militares para humillarnos buscando cero de coca y cero de tierra además de eso, dónde está cero de tierra, dónde está cero de coca, dónde está cero de sindicalismo campesino, porque con las asociaciones pretendían derrocar al sindicalismo”, fundamentó.

    En esa dirección, Morales aseguró que los movimientos sociales y particularmente los cocaleros despertaron y decidieron defenderse “sindicalmente, políticamente, ideológicamente, programáticamente y electoralmente. Y así llegamos al Gobierno”, matizó.

    Pidió un debate profundo y dijo que quiere escuchar no solamente las propuestas de los cocaleros de las seis federaciones del trópico, sino también las críticas para corregir las políticas gubernamentales.

    “No tengan miedo para decir una verdad, sobre Evo, sobre el Gobierno, que tal vez están equivocados por las políticas que estamos implementando, Que  hay que corregir y así nos hemos adoptado, y así nos hemos conducido cuando éramos solamente dirigentes y compañeros de base”, fundamentó.

 

( Fonte: A.B.I. – Agencia Boliviana de Informacion )

IRAQ – Hakeem stresses during meeting with Chalabi on the necessity to hold meeting of Iraqi political sides

30 Dic
Hakeem stresses during meeting with Chalabi on the necessity to hold meeting of Iraqi political sides    
28/12/2011 19:59:00
 
Baghdad (NINA) – Leader of the Supreme Iraqi Islamic Council (SIIC), Ammar al-Hakeem, stressed the necessity to hold a meeting of all Iraqi political forces to overcome the crisis.

This came during receiving on Wednesday, Dec. 28, member of the National Alliance leader of Iraqi National Congress (INC), Ahmed al-Chalabi.

A statement by the SIIC said, “In the meeting discussion and consultation about the country’s developments, and suggested solutions necessary for solving the current political crisis, in addition to discussing the situation in the region and Iraq’s role in solving political problems and crisis many Arab countries are facing.”

In a statement after the meeting, Chalabi stressed, “The necessity to continue cooperation between Iraq’s political forces, especially those who participated in overthrowing former regime, to consolidate national unity and pushed the political process forward.”

 

( Fonte: www.ninanews.com )