IL CASO MORO – L’OMBRA DI GIUDA

24 Lug

IL CASO MORO – L’OMBRA DI GIUDA

di Dagoberto Husayn Bellucci

Il presente articolo riprende in massima parte quanto già avevamo avuto occasione di sottolineare molti anni fa (1) in relazione alle vicende che andranno intersecandosi e sovrapponendosi nel cosiddetto “affare Moro” ovvero l’assassinio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana ad opera di un sedicente commando delle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente: la sovranità nazionale, il ruolo dei rapporti e delle relazioni transatlantiche fra Stati Uniti e Italia, il ruolo giocato nell’intera vicenda dai servizi di sicurezza italiani e quello ‘percepibile’ avuto da diverse altre centrali d’Intelligence straniere, l’ombra del Mossad o , per usare un sottile eufemismo, il marchio di Giuda ‘impresso’ all’intera “operazione” da ambienti vicinissimi alla kehillah capitolina i’tal’yàna rispondenti a determinate logiche di prevaricazione e intromissione di “Israele” – quale sovrastruttura onnicomprensiva gli interessi del popolo ebraico cosmopolita e strumento di pressione economico-politica e sodomizzazione/castrazione sociale delle comunità “goyim”=non ebraiche – negli affari interni nazionali italiani.

La ricognizione analitica sull’affaire Moro si impone soprattutto perchè questa vicenda rappresenta ‘splendidamente’ il livello di sudditanza ideologica, politica, economica, sociale e “militare” della colonia Italia alle volontà-diktat del padrone atlantico statunitense e l’inenarrabile predominio esercitato più o meno dietro le quinte dalla lobby ebraica la quale non solamente esiste ma è forte e determinante le scelte legislative e quelle di politica estera del paese…l’economia gli ebrei l’hanno ‘arraffata’ usurocraticamente da molti anni ‘sigillando’ il mondo del lavoro e della finanza, del commercio e degli affari, attraverso la scalata ebraica della famiglia Elkann alla principale azienda multinazionale , forse l’unica veramente degna di questo nome, esistente in Italia: la Fiat di Torino, antico feudo personale del ‘pescecanismo’ capitalistico della famiglia Agnelli lentamente e ‘astutamente’ estromessa – anche mediante l’eliminazione fisica dei suoi due rampolli Edoardo e Giovanni jr prematuramente , ‘troppo’ prematuramente, ‘scomparsi’ – per lasciare ‘spazi’ di manovra al duo kosherizzato dei fratelli John e Lapo Elkann (2).

E se in Italia non si muove foglia che la Fiat non voglia, paradigma delle dinamiche di annullamento delle volontà politiche e dell’affermazione del turbo-capitalismo sovranazionale, alieno da qualsiasi “copyright” nazionale e da ogni controllo da parte dello Stato – peraltro ridotto a maggiordomo degli interessi grande-bottegai e usurocratici della casa ‘regnante’ torinese che stabilisce agli esecutivi i propri ‘desiderata’ ogni qualvolta in ‘affanno’ di liquidità…i ‘salvataggi’ della Fiat oramai non si ‘contano’…’regali’ miliardari di governucoli irresponsabili e sottomessi servilmente a questa masnada di filibustieri per i quali sono costretti a sudar le sette camicie centinaia di migliaia di ‘obreros’ … la classe operaia non andrà mai in paradiso perchè le chiavi d’ingresso e le principali poltrone anche lassù le hanno i ‘padroni’ verso i quali s’alzano gli ‘osanna’ ossequiosi e riverenti della nostra classe politica …. un secolo abbondante di ‘spremitura’ legalizzata …gli italiani…pecore belanti e vacche all’ingrasso ed al macello servilmente ‘riconoscenti’ a questa famiglia di predoni…- , d’altro lato è indiscutibile il peso esercitato, più o meno ‘discretamente’ e altrettanto efficacemente, dagli ambienti kippizzati ‘accampati’ nel territorio coloniale italiota.

Il cosiddetto “affare Moro” risulta senza ombra di dubbio uno di quei tanti, troppi, misteri del quale è ‘costellata’ la storia della Prima Repubblica: dall’assassinio di Ettore Muti ( il primo martire dei futuri ‘amministratori’ democratici del paese…fulgido esempio di Eroe e di Fascista…uomo d’azione e di rivoluzione…fedelissimo di Mussolini e probabile candidato alla ‘successione’ all’indomani del ‘golpe’ badogliano-savoiardo compiuto nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943 dalla Frammassoneria e dalle altre forze ostili al Fascismo che provocarono la caduta del governo e il successivo arresto ‘preventivo’ del Duce del Fascismo…) a Portella delle Ginestre fino ad arrivare alla stagione delle stragi di Stato e della strategia atlantico-sionista della tensione che determinerà l’accelerazione ‘estremistico-terroristica’ delle frange politiche ‘marginali’ della politica italiana e la conseguente reazione/repressione ‘magistralmente’ – ‘capolavori’ d’infiltrazione alle ‘estreme’ elaborati dalle centrali di controllo sistemiche, dai servizi e dalle forze di pubblica sicurezza – attuata con scientifica pianificazione, implacabile determinazione e ‘sufficiente’ apporto tecnologico dal Sistema…

‘Riscrivere’ la storia dei cosiddetti “anni di piombo” è ‘consegna’ che ‘deleghiamo’ più che volentieri ad ‘altri’….basti e avanzi quanto lucidamente, coerentemente e incontrovertibilmente ha scritto il soldato-politico Maurizio Lattanzio unitamente alle ricognizioni storico-memorialistiche del camerata Vincenzo Vinciguerra (3).

La ragnatela, la ‘tela del ragno’ legittimamente la definirà Sergio Flamigni (4), di depistaggi, inquinamenti giudiziari e ‘memorialistici’ di ex e post brigatisti rossi, le altrettanto inquietanti ‘omissioni’ della Commissione parlamentare sui Servizi e sulle Stragi, le colpevoli correità dell’intero arco parlamentare politico italiano non aiutano affatto a dare una visione d’insieme omogenea e organica in relazione al sequestro, alla prigionia e al successivo assassinio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana ostaggio materialmente delle B.R. e idealmente dei vertici di tutta la classe dirigente italiana a cominciare dal suo stesso partito e finendo al ruolo copartecipe e complice della politica democristiana di non cedere ai ‘ricatti’ brigatistici tenuto dall’allora PCI.

A questo quadro già sufficiente fosco e in questa matassa di comportamenti meschini si devono aggiungere le innumerevoli azioni di ‘disturbo’ durante lo svolgimento delle indagini nel periodo della prigionia e successivamente negli anni che verranno operate dai servizi di sicurezza nazionali con l’avallo e il disco verde dei loro ‘padroni’ d’oltreoceano. Complicità politiche, connivenze brigatistico-partitiche, omertà sistemiche, meccanismi di controllo sapientemente utilizzati da quanti , tanti, avevano interesse all’eliminazione fisica dell’allora presidente democristiano.

Le relazioni tra i nostri servizi di sicurezza , quindi del nostro Governo, rispetto a quelli d’oltreoceano , quindi rispetto all’amministrazione statunitense, si inquadrano in “una storia davvero infinita di sovvertimenti, inquinamenti, insabbiamenti e tradimenti compiuti all’ombra delle istituzioni. Alle spalle e contro lo Stato democratico. E i nostri servizi segreti di questa storia sono stati spesso indiscussi protagonisti.” (5). Noi affermiamo, al contrario, ai ‘lati’ e pro lo Stato democratico e antifascista nato dalla Resistenza…per il quale si sono ‘alacremente’ dati da fare i suoi servizi affatto ‘deviati’ come si è sempre, spesso, ‘scrittoriamente’ rappresentata la stagione delle stragi e la strategia degli ‘opposti estremismi’ ideata, pianificata, elaborata e – ‘funzionalmente’ ai propri interessi di preservazione, mantenimento e rafforzamento dello status quo democratico – attuata dalle centrali di controlo e dagli apparati di vigilanza sistemici.

Una logica di totale asservimento della classe dirigente , politica ed economica, nei confronti della superpotenza a stelle e strisce è il principale dato fattuale che viene ad evidenziarsi analizzando le relazioni – spesso da ‘tragicommedia’ dell’assurdo altrettanto spesso da ‘operetta’ criminale ….un ‘thriller’ svoltosi dietro le quinte e sulle spalle del popolo italiano – bilaterali tra i nostri servizi di sicurezza ed i loro colleghi della CIA statunitense sempre operativa fin dalla primavera 1945 in tutte le più immorali, squallide e sanguinose vicende che hanno contrassegnato la storia dell’italietta repubblicana ed antifascista e responsabili della ‘infinita’ serie di operazioni ‘coperte’ ‘commissionate’ dal Governo degli Stati Uniti contro l’indipendenza, la sovranità e la libertà del popolo italiano…. il caso Mattei, Ustica, il Cermis, l’affaire Omar solo per ‘ricordare’ alcuni – tra i ‘vecchi’ ed i ‘nuovi’ – episodi nei quali sia lapalissianamente evidente la mano dei depistatori ed assassini della Criminal Intelligence Agency d’oltreoceano.

L’assoluta dipendenza politica ed economica della colonia italiana alle volontà, ai diktat ed agli interessi dell’amministrazione e della plutocrazia statunitense caratterizzerà tutta la storia nazionale compresa tra la primavera ’45 e l’autunno ’89 che si può legittimamente disegnare come il riuscitissimo tentativo delle forze occulte e palesi che manovrano questo paese ‘under controll’ di neutralizzare ed escludere per oltre cinquant’anni la principale forza d’opposizione (politica e sindacale) operativa all’interno della contrapposizione sistemica ovvero il Partito Comunista Italiano il quale sarà – crollato il muro di Berlino – definitivamente inglobato, normalizzato (la ‘normalizzazione’ del PCI incomincerà fin dagli avvenimenti ungheresi del ’56 , proseguirà nel decennio successivo con la sua funzione di cane da guardia ‘sinistro’ del sistema parlamentaristico-partitico-mafioso evidenziata nitidamente durante le ‘rivolte’ studentesche sessantottine e si dipanerà connivente lungo tutti gli anni Settanta ed Ottanta mediante la formula dell'”eurocomunismo” di berlingueriana memoria che sarà l’ultimo ‘strappo’ rispetto alla casa-madre moscovita ed alle logiche del Cremlino compiuto dai dirigenti italiani del maggior partito comunista del blocco europeo occidentale) ‘accucciato’ ed infine omologato nel quadro della soluzione bipolarista dei due Grandi Insiemi (centro-destra/centro-sinistra) che formano attualmente i principali ‘vettori’ della politica nazionale sul modello anglosassone dei ‘dividendi’ del potere e in conformità con il disegno di riforma delle Istituzioni ‘presentato’ trent’anni or sono all’opinione pubblica dalla Loggia Massonica “Propaganda 2” del Venerabile Gran Maestro Licio Gelli alias il Piano di Rinascita Nazionale…

L’Italia come laboratorio ‘sperimentale’ per innumerevoli “ipotesi di complotto” all’interno delle quali si situa la nota teoria della ‘zona grigia’ di Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato americano ed esponente dei circoli mondialisti (peraltro ‘sconfessato’ e ‘processato’ dal Kahal = il Gran Sinedrio Ebraico di Jew York per aver ‘consentito’ gli accordi di pace tra l’entità criminale sionista e l’Egitto di Anwar Sadat), il quale era solito sottolineare come fossero ‘prassi’ normale e logica le operazioni clandestine della CIA contro altri esecutivi nazionali dichiarando che “nei consueti rapporti fra nazioni, tra la normale attività diplomatica e l’uso della forza, c’è sempre una “zona grigia” “dove si può presentare la necessità di operazioni al di fuori della legalità” (6).

E’ dunque un datto fattuale quello che vede la nostra classe dirigente coresponsabile e ‘assistente’ dei programmi di controllo, destabilizzazione (volta a stabilizzare ulteriormente) e sovvertimento (mirante il rafforzamento del sistema stesso) della vita politica e sociale nazionale: disposizioni, consegne, ordini arrivavano al nostro Governo, ai suoi apparati di vigilanza e ai suoi strumenti repressivi – Magistrura, forze di sicurezza, servizi segreti civili e militari – dal padrone americano.

Al servizio delle oligarchie d’oltreoceano, Istituzioni ed esecutivi, partiti politici dell’arco parlamentare ed extra-parlamentari di destra e sinistra, dirigenti industriali e sindacali si sono ‘prestati’ a questo gioco sporco di ingerenza e direzione dei nostri affari politico-economici interni da parte di una potenza straniera, occupante, militarmente massicciamente presente con le sue Basi Nato in ogni angolo del paese e asfitticamente onnicomprensiva rispetto alla direzione di ‘marcia’ impressa da Washington alla politica ‘romana’. Logiche compromissorie, scambi clientelar-mafiosi, ruolo determinante di organizzazioni segrete (Massoneria, circoli atlantico-sionisti, ambienti kosherizzati) e di ambienti malavitosi (mafie e altri gruppi di pressione espressione di potentati economici apparentemente ‘indipendenti’ dai presidii secondari del Sistema ma ad essi ‘rispondenti’ e funzionalmente correlati) hanno favorito la definitiva ‘occidentalizzazione’ della colonia italiota , ieri “Bulgaria” della Nato oggi ‘scodinzolante’ ed ubbidiente servitore delle logiche imperialistiche d’oltreoceano.

Dopo la seconda guerra mondiale risulterà oltremodo conforme a verità storica anche l’inserimento di elementi ‘alieni’ ai vertici , in funzione destabilizzante, delle principali organizzazioni ‘extra-parlamentari’ della galassia “marxista-leninista” la quale si affermerà su di un piano cultural-intellettualistico-editoriale mediante iniziative quali quella , ancora presente come ‘voce critica’ della Si(o)nistra nazionale, del “Manifesto” e su di un altro piano – militante-organizzativo-teppistico-terroristico – i reazionari rossi , gli studenti ‘ribelli’ dell’ondata sessantottina e i loro ‘epigoni’ a mano armata del movimento del ’77 e del quale saranno ‘eredi’ i tanti ‘arrivati’ editorialisti post-lottacontinuisti alla Gad Eitan Lerner e alla Adriano Sofri che hanno trovato un posto all’ombra del sistema di poteri che intendevano , teorizzando la lotta armata e invocando i principii del marxismo-leninismo in tutte le sue versioni compreso quella maoista cinese, abbattere.

‘Giocati’ e ‘giocatori’ di un “gioco sporco” prestabilito dagli infami accordi intervenuti a Yalta tra la plutocrazia statunitense e l'”impero rosso” sovietico, tra Roosevelt e Stalin , tra impero d’Occidente e d’Oriente, tra capitalismo e comunismo e secondo i quali l’Italia sarebbe dovuta rimanere più o meno stabilmente nel campo d’azione della superpotenza a stelle e strisce, nella sfera d’influenza americana a qualunque costo e a qualsivoglia prezzo. Non comprendere che l’Italia è da oltre sessant’anni un paese a sovranità limitata , sottoposta alle dirette dipendenze ed alla volontà dell’amministrazione statunitense (la quale ha utilizzato ogni mezzo, compreso il ricorso allo stragismo di Stato ed alla violenza metropolitana degli opposti estremismi, per mantenere salde le proprie posizioni di predominio e aumentare il controllo , la schedatura e l’occhio vigile nei confronti dei suoi ‘sudditi’ attualmente bellamente belanti e riconoscenti), è il principale ostacolo ad un’esatta comprensione del fenomeno che prende il nome di “anni di piombo” e delle innumerevoli intromissioni anche sanguinose, una lunga scia di sangue, intervenute nella politica italiana e ‘partorite’ da menti straniere le quali spesso utilizzavano per i loro lavori ‘lavori sporchi’ mani italianissime.

Il caso Moro si inserisce più che legittimamente nella logica di dipendenza/asservimento della colonia italiana al padrone americano ne diviene un paradigmatico ed efficace strumento di analisi, una evidente dimostrazione di quanto limitante fosse lo spazio concesso ai politici-amministratori di casa nostra ai quali non era concesso di ‘deviare’ dalle ‘direttive’ impartite oltreoceano: come avverrà a Mossadeq in Iran, così identica sorte toccherà all’allora presidente dell’ENI , Enrico Mattei, eliminato in circostanze rimaste ‘misteriose’ per aver offerto la sua collaborazione direttamente all’URSS di Krusciov e ai paesi arabi fornitori di petrolio attirandosi l’ira e la reazione delle cosiddette “sette sorelle” (le 7 compagnie petrolifere multinazionali statunitensi che monopolizzano i mercati internazionali) e, conseguentemente, la sentenza di morte decretata dall’alta finanza giudaico-mondialista ed eseguita dai servizi di sicurezza statunitensi.

In un paese dilaniato dalla violenza politica quotidiana degli opposti estremismi, sempre sull’orlo della crisi economica ed alla ricerca di una irraggiungibile stabilità politica (con esecutivi scudocrociati che si alternavano quasi mensilmente a consigli dei ministri pentapartitici di centro-sinistra) la vicenda Moro si sviluppa durante gli anni più caldi della strategia della tensione. L’ex presidente della D.C. è stato sovente scritto che sia stato eliminato per il suo sforzo di portare l’allora PCI nell’area di governo, realizzando ‘tecnicamente’ la formula del cosiddetto ‘compromesso storico’ che avrebbe unito le due ‘chiese’ ideologiche allora dominanti la scena politica nazionale: quella clerical-conservatrice-filoamericana democristiana e quella rappresentata dal più forte partito comunista dell’Europa Occidentale attestato in quegli anni attorno al 30% dei consensi elettoralistici. Interpretazione legittima ma insufficiente.

La presenza del PCI in un governo di unità nazionale , aborrita tra i vertici dell’establishment statunitense (o almeno nella stragrande maggioranza dei dirigenti l’oligarchia americana…esistevano infatti anche numerosi soggetti collegati alla Fabyan Society che ‘premevano’ per una accelerazione delle relazioni USA-URSS in nome di un internazionalismo socialista d’ispirazione massonica ed eterodiretto da Washington) e all’interno dei circoli conservatori della politica yankee, risultava assolutamente difforme dalle prospettive spesso ventilate altrettanto spesso ‘tentate’ di ‘svolta a destra’ (sul modello greco, spagnolo o portoghese) della politica italiana. L’antisovietismo in politica estera delle amministrazioni americane si accompagnava con l’anticomunismo ideologico ‘esportato’ con successo nei quattro angoli del pianeta perfettamente rispondente alle logiche imperialistiche di Washington di contrasto dell’altro imperialismo, quello di segno ‘apparentemente’ opposto (7), russo-marxista.

Un partito comunista ai massimi livelli dirigenti la politica di una potenza occidentale inoltre era una ipotesi da scongiurare assolutamente per l’amministrazione statunitense oltre a rappresentare un esempio per tutti gli altri partiti comunisti del blocco europeo-occidentale: eventualità che avrebbe destabilizzato profondamente il quadro delle relazioni internazionali e rimesso in discussione il “balance of powers” (equilibrio di poteri) stabilito a Yalta tra americani e sovietici.

Sarà proprio l’analisi della politica internazionale di quel periodo e dei suoi fragilissimi equilibri che dovrà essere attentamente studiata in relazione all’affaire Moro: la lotta per il predominio nello scacchiere geopolitico e militare mediterraneo, il ruolo avuto da innumerevoli organizzazioni d’ispirazione marxista e dedite alla lotta armata quali le Brigate Rosse – con la loro ‘involuzione’ funzionale a determinati , ‘alieni’, imput inconfessabili alla stessa manovalanza terroristica – , i sommovimenti rivoluzionari della nazione araba e lo sviluppo delle attività anti-sioniste e anti-imperialiste dei movimenti di resistenza palestinesi che ‘fuoriusciranno’ dal perimetro geopolitico vicino-orientale sono tutti tasselli di un intricato mosaico che ci aiuteranno a comprendere i veri motivi per i quali Aldo Moro e la sua politica filo-comunista in seno alla Democrazia Cristiana dovevano essere eliminati e ricondotti ad un livello ‘accettabile’ per i padroni statunitensi.

A livello internazionale infatti, molto più di quanto non avesse dimostrato sul piano nazionale, Aldo Moro “come ministro degli Esteri , all’inizio degli anni ’70, cercava una politica autonoma verso gli Arabi. Trattare con i produttori di petrolio direttamente senza passare attraverso la mediazione degli Stati Uniti” (8).

La politica filoaraba di Moro , in opposizione ad un’ala più occidentalista e filo-americana della stessa DC ovvero la ‘destra’ di Fanfani e di esponenti scudocrociati che si raccoglievano attorno a Mariano Rumor e Francesco Cossiga, venne nettamente criticata dall’amministrazione statunitense ed è proprio “in questo progetto d’indipendenza energetica che stanno le ragioni dei suoi contrasti con Henry Kissinger, in quegli anni segretario di stato americano” (9).

Giusto qui momentaneamente ricordare come, dopo Mattei, anche Giulio Andreotti (per le sue ‘amicizie pericolose’ verso la Repubblica Islamica dell’Iran e il mondo arabo) e Bettino Craxi (in particolar modo dopo l’affaire Sigonella (10) che permetterà al capo dei dirottatori della nave Achille Lauro , il leader palestinese Abu Abbas, di lasciare indisturbato l’Italia in opposizione alle volontà americane di prendere in consegna e detenere come “terroristi” lui e i suoi collaboratori) risulteranno ‘sgraditi’ all’Establishment giudaico-mondialista ed ‘eliminati’ politicamente (il leader socialista anche fisicamente) dalla scena per lasciar posto – dopo la farsa ‘giudiziaria’ del biennio 92-93 denominata “Tangentopoli” che avrebbe ‘rivoltato’ come un calzino gli scenari della politica italiana – a soggetti e formazioni politiche palesemente e marcatamente filo-sioniste fra le quali Forza Italia, Alleanza Nazionale, il PDS e la Lega Nord.

I rapporti tra Aldo Moro e l’amministrazione statunitensi si fecero molto tesi soprattutto in seguito ad un viaggio effettuato dallo stesso presidente della DC , in veste di primo ministro, a Washington nel 1974. Roberto Ducci, ex ambasciatore italiano negli Usa e buon conoscitore di Kissinger, ha scritto che “per Moro, Kissinger era l’espressione forse non volontaria dell’irresistibile egemonismo americano che tendeva a non lasciare respiro interno alle strutture politiche dei propri alleati più di quanto l’egemonismo sovietico ne lasciasse ai suoi”. Nel corso di quel viaggio americano di Moro vennero discussi soprattutto i problemi relativi alla politica da adottare nei confronti dei paesi produttori di petrolio: mentre Kissinger sosteneva l’idea di un fronte comune dei paesi consumatori per arrivare ad un “confronto” con gli arabi – in un periodo contrassegnato dalla crisi economica che aveva investito tutti i paesi occidentali, specie quelli europei, a seguito del blocco petrolifero vicino-orientale decretato dopo il conflitto dell’ottobre 73 tra Siria ed Egitto e entità sionista (11) – , Aldo Moro , intervistato dai principali media americani, replicò con un secco: “L’Italia è contro tutti i confronti”. Fu probabilmente in occasione di quel viaggio che Moro capì l’ostilità statunitense verso la sua politica tesa ad instaurare un rapporto diretto con il mondo arabo. Venne avvertito perfino che si stavano coalizzando contro di lui gli ambienti USA caratterizzati da interessi ben precisi: la finanza, la lobby del petrolio, quella delle produzioni ritenute strategiche ossia l’insieme dei gruppi di pressione “intenzionati ad utilizzare contro lo statista democristiano ambienti operanti ai margini dei servizi segreti ufficiali, i più spregiudicati e i più adatti per bloccare il progetto politico di Moro” (12)

Dietro a questi ambienti, ‘faccia’ visibile dietro alla quale si celano determinate strutture occulte o ‘semi-palesi’ che costituiscono i centri direttivi dell’economia capitalistica e i controllori politici del sistema statunitense (C.F.R. , Trilateral Commission e altre organizzazioni mondialiste) , che rappresentavano gli interessi immediati delle principali lobbie’s di potere degli Stati Uniti si cela l’elemento giudaico che, nell’intera vicenda Moro, avrà un ruolo affatto secondario. Infatti giova ricordare come , quando Moro arrivò alla Farnesina assumendo la carica di Ministro degli Esteri, l’Italia era fondamentalmente su posizioni filo-israeliani , tant’è che l’ambasciatore di Gerusalemme a Roma poteva contare e vantarsi “per antica tradizione o per legami più che recenti di natura speciale sul PSI, il PSDI e il PRI nonchè sulla maggioranza dell’opinione pubblica” (13).

Come ha ricordato il già citato Ducci “il leader della DC iniziò con tenacia a portare il governo italiano su posizioni dapprima più equilibrate e poi inclini verso quelli che , con passi successivi, furono chiamati “gli interessi legittimi”, poi , “gli interessi nazionali” poi “i diritti nazionali” dei palestinesi ed infine come “i sacrosanti diritti ad una patria del popolo palestinese”. Moro , nel breve volgere di pochi mesi, aveva ribaltato il rapporto ‘speciale’ instaurato dagli emissari della diplomazia sionista con il nostro Ministero degli Esteri a favore della causa palestinese , indicando nel rapporto tra l’Italia ed i paesi arabi produttori di petrolio quello che aveva definito come “il capitolo più importante della nostra politica estera” attirandosi così le intuibili pressioni statunitensi e le altrettanto facilmente prevedibili reazioni della lobby pro-sionista interna.

Un altro punto di contrasto tra l’amministrazione statunitense e la politica estera di Moro fu quello relativo alla subordinazione dell’Italia alle esigenze politico-militari della NATO , soprattutto in virtù della richiesta americana di utilizzare le basi aeree italiane per i rifornimenti concessi da Washington al suo alleato principale nello scacchiere geopolitico del Vicino Oriente, il sedicente “stato d’Israele”, in occasione del conflitto dell’ottobre 1973; richiesta alla quale fu risposto negativamente.

La vicenda del successivo sequestro ed assassinio di Moro assume dunque nuovi particolari significati anche considerando le ostinate resistenze dei brigatisti rossi che formavano il nucleo del commando entrato in azione la mattina del 16 marzo 1978 in Via Fani e le innumerevoli e irresponsabili lacune operative dimostrate dalle forze di pronto intervento dei servizi segreti e dai reparti speciali dei corpi di pubblica sicurezza durante e soprattutto nella fase terminale della detenzione di Moro nel covo brigatista.

Le BR di Moretti, infatti, negano qualsiasi coinvolgimento ‘estero’ da parte sia dei servizi di sicurezza italiani che di qualsivoglia altro Stato tutto ciò malgrado lo stesso Alberto Franceschini – tra i fondatori e massimi dirigenti della ‘direzione strategica’ del partito comunista combattente – nel suo volume “Io, Renato e Mara” cita i contatti avuti con il Mossad israeliano oltre a quelli intessuti con alcune formazioni marxiste-leniniste della Resistenza palestinese.

L’avvocato Nino Marazzita, legale dei familiari di Moro, in un’intervista rilasciata al quotidiano torinese proprietà Agnelli de “La Stampa” in data 31 gennaio 1993 ha sostenuto che “gli ex terroristi non parlano delle trattative segrete con i servizi per poter tenere in pugno quei politici che volevano morto Moro” arrivando perfino a denunciare che “Mario Moretti è uscito di galera perchè in questo modo si compra il suo silenzio”.

“Determinati uomini politici italiani hanno scelto la linea della fermezza mettendo avanti le ragioni morali, gli stessi uomini politici che ci hanno ridotti all’ultimo gradino dell’infamia con lo scandalo delle tangenti” afferma ancora Marazzita concludendo che “Moretti ed i brigatisti rossi che hanno partecipato a quella vicenda godono di troppi benefici dalla legge carceraria, hanno venduto il loro silenzio” (14).

Una larga parte della classe politica nazionale, in particolar modo gli ambienti già ricordati più vicini alla lobby pro-sionista della stessa DC, così come le stesse BR (la cui ‘verginità ideologico-rivoluzionaria’ sarebbero da riconsiderare sin dall’arresto del loro fondatore, Renato Curcio, dall’esecuzione della sua compagna , Mara Cagol, e in particolare dall’avvento di Moretti al vertice militare dell’organizzazione terroristico-clandestina del PCC) hanno tutto interesse ad insabbiare le vere ragioni che portarono al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro ‘giustiziato’ in una ‘prigione del popolo’ in nome della dottrina terroristico-marxista-leninista della lotta di classe (o come , anche ‘legittimamente’ , rivendicavano allora nei loro comunicati di fuoco i brigatisti nella lotta contro il SIM Stato Imperialista delle Multinazionali).

Una ‘sinergia’ di interessi che , seguendo le tracce dell’intera vicenda Moro, ci porta a concludere che esistesse una regia ‘occulta’ eterodiretta da quei potentati economici d’oltreoceano e da quelle fortissime lobbie’s del petrolio americane che avevano tutto da guadagnare dalla scomparsa del leader democristiano.

Nella ricostruzione dei momenti più significativi del sequestro Moro è impossibile non soffermarsi sull’analisi di quelle che furono le innumerevoli discordanze di informazioni circolate in quei giorni di primavera del 78 relativamente al covo-prigione dove lo statista democristiano sarebbe stato detenuto. La risposta a questa serie di volontarie disinformazioni fornite per depistare da tutti i corpi delle forze di pubblica sicurezza sulla base delle veline ‘passate’ dai servizi di sicurezza sembra arrivata, molti anni più tardi, grazie al ritrovamento di due appunti dell’ex capo brigatista Moretti. Alla notizia hanno dato risalto, all’epoca, soltanto “L’Unità” e il settimanale cattolico “Il Sabato” contrariamente a quanto fatto dagli altri organi d’informazione di regime che preferirono ignorare completamente o inserire tra le ‘brevi’ di cronaca una verità probabilmente scomoda per molti.

“L’Unità” del 16 giugno 1993 pubblicò in prima pagina : “Due appunti del BR Moretti portano al quartiere ebraico di Roma – Ora spunta l’ultima prigione di Moro?”. Ed ecco cosa riportò nel suo articolo Giampaolo Tucci: “Due appunti di Mario Moretti portano ad un vecchio palazzo rinascimentale in Via Monte Savello n.30: fu qui l’ultima prigione di Aldo Moro? Gran parte dell’edificio appartiene alla marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, la sua famiglia è quella dei Rossi di Montelera. La marchesa al telefono risponde: “il mio numero di telefono in un covo di brigatisti? Quando? No, nessuno, nè giudici, nè polizia mi ha chiesto niente”. Il portiere dell’edificio: “Durante il sequestro Moro venne la polizia ma non perquisirono il palazzo, scesereo giù nei cunicoli del Teatro Marcello, trovarono i cancelli aperti.” (15)

L’ipotesi che l’ultima prigione di Moro potesse essere situata all’interno del vecchio quartiere ebraico non è nuova. A formularla per primo fu il giornalista Mino Pecorelli, elemento legato alla loggia Propaganda 2 di Gelli e molto addentrato in numerose inchieste relative alla politica nazionale e sicuramente anche per questo eliminato in circostanze affatto chiare (16), il quale scriverà nell’ottobre 1978 che un generale aveva detto all’allora ministro degli Interni, Francesco Cossiga, che “Moro era tenuto prigioniero dalle parti del ghetto (ebraico)” (17).

Vediamo di ricostruire dunque l’intera vicenda partendo proprio dalle dichiarazioni di Pecorelli: oggi si sa che il giornalista, vicino a Licio Gelli e autore di feroci articoli contro Giulio Andreotti, dalle pagine del suo settimanale fece pesanti rivelazioni sia in merito all’ultima prigione di Moro che, soprattutto, al ruolo avuto nell’intera vicenda dallo stesso senatore Andreotti. Si sa, anche e soprattutto grazie alle rivelazioni del superpentito Tommaso Buscetta, che il generale di cui Pecorelli parlava era quasi sicuramente lo stesso Carlo Alberto Dalla Chiesa, eliminato a sua volta dalla mafia e contro il quale si mosse “un’entità politica di rilievo”. L’entità di cui solamente accenna Buscetta avrebbe “usato la mafia prima di trattare con le BR, poi per assassinare il generale alla Chiesa dopo aver fatto fuori il giornalista Pecorelli. Pecorelli e Dalla Chiesa – dichiarò il superpentito di Cosa Nostra (18) – sono cose intrecciate. Sono stati uccisi per le stesse ragioni, quindi dallo stesso mandante.”.

All’epoca in cui apparvero i due articoli sopra riportati il settimanale “Il Sabato” si domandò come mai il sen. Andreotti fosse inquisito solamente per il delitto Pecorelli e non per quello di Dalla Chiesa ‘chiosando’ : “forse si vuole procedere per gradi, si esita a compiere l’ultimo passo; il punto di arrivo è quello inevitabile.”.

Ma se il mandante plausibile risultasse Giulio Andreotti, il movente, altrettanto plausibile, sarebbe esclusivamente da collegare alla vicende Moro sulla quale Roberto Chiodi scriverà: “Pecorelli scrisse che l’ultimo rifugio di Moro era nel ghetto e che un generale ne aveva riferito a Cossiga, poi nessuno indagò: perchè? …Moretti continuò a pilotare il sequestro che si concluse con l’uccisione dello statista, il cui cadavere venne fatto ritrovare il 9 maggio 1978 in Via Caetani, a due passi dalle sedi del PCI e della DC” (19).

In modo altrettanto chiaro Chiodi continua affermando che “la difficoltà di uccidere Moro nel garage condominiale di Via Montalcini e gli enormi rischi connessi al trasporto del cadavere fino al centro di Roma fecero subito pensare ad un’altra base delle BR vicina a Via Caetani e da dove l’intera fase finale dell’uccisione poteva essere attuata senza rischi eccessivi. Via Caetani si trova in prossimità del ghetto ebraico e i primi espliciti riferimenti a questo luogo li fece proprio il giornalista Mino Pecorelli , direttore di OP. (20)

In particolare, di rilievo , è giusto sottolineare come sul numero del 17 ottobre 1978 – dopo la scoperta del covo brigatista di Via Montenevoso a Milano – del suo settimanale il Pecorelli si chiedeva come mai il Gen. Dalla Chiesa “non fu chiamato subito dopo Via Fani , quando Moro era ancora vivo?”…. In un’altra parte del settimanale Pecorelli pubblicò anche una falsa lettera al direttore in cui appunto si affermava che un generale aveva avvertito il ministro Cossiga, informandolo su dove Moro era tenuto prigioniero” (21)

“Il ministro non poteva decidere nulla su due piedi; doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in altro, magari sino alla Loggia di Cristo in Paradiso? L’allusione alla P2 è chiarissima. Comunque la risposta di Cossiga , proseguì la lettera, fu negativa; c’era il rischio di un conflitto a fuoco. Ed ecco la conclusione profetica di Pecorelli: ora la vita di Dalla Chiesa è davvero in pericolo!” (22).

Nè poteva essere altrimenti: ai piani ‘alti’ dell’affaire Moro si situava quella ‘zona d’ombra’ di cui aveva parlato Kissinger, quella zona ‘grigia’ dove l’illecito diviene lecito ed operano le centrali di disinformazione, i centri operativi, i controllori sistemici mediante l’uso di spregiudicati strumenti di morte fra i quali rientrano – per le operazioni ‘coperte’ – tutti i servizi di sicurezza , civili o militari che siano. E dietro ai quali tramano, nell’ombra, interessati potentati politici ed economici quali quelli che si muoveranno nella vicenda Moro.

Alcuni anni dopo l’avvocato De Gori, legale di parte civile della Democrazia Cristiana, si ritrovò un messaggio anonimo sulla propria segreteria telefonica nel quale si fornivano ulteriori indicazioni proprio sulla locazione dell’ultima prigione di Moro: un locale del Ghetto ebraico, al quale si poteva accedere attraverso un ampio passo carraio, sormontato da due leoni di pietra. La registrazione della telefonata fu consegnata agli investigatori, poi non se ne seppe più nulla. I due manoscritti di Moretti , comunque, parlavano chiaro: “659127 – Immobiliare Savellia”. “L’immobiliare esiste ancora, ha lo stesso numero di telefono e lo stesso indirizzo: Via Monte Savello 30, ossia un edificio rinascimentale di fronte all’Isola Tiberina a due passi dal Portico d’Ottavia e dalla sinagoga, in pieno ghetto ebraico.” (23).

Come esplicitamente scrisse sedici anni fa il settimanale “Il Sabato” nella sua copertina del nr 25 del 19 Giugno 1993 “c’è dunque una pista ben più oscura e su cui non si è mai indagato. E che rivela un quadro davvero inquietante!”.

Noi , sedici anni or sono scrivevamo: ” La pista è quella del quartiere ebraico, la regia occulta è quella che lega brigatisti rossi, servizi segreti italiani e stranieri, comunità ebraica in una trama che si concretizza nell’eliminazione dello statista DC, scomodo alle lobbies economiche internazionali e ai centri di potere (occulti e non) italiani, la cui politica minava dall’interno i rapporti di forza fra la “colonia Italia” e i “colonizzatori Stati Uniti”, soprattutto nel bacino del Mediterraneo, laddove una presenza filo-araba sul fronte occidentale , non rientrava affatto nella logica di Yalta.” (24).

Facciamo solo ‘notare’ che il settimanale “Il Sabato” sia , di lì a pochi anni, fallito e abbia chiuso i battenti…

Ovviamente non abbiamo mutato ‘opinione’: dietro alla vicenda Moro si staglia l’ombra di Giuda e del suo esercito di lacchè….E’ Sion che ‘detta’ la lex judaica che tiene prigioniero in casa propria il nostro popolo e sono gli Stati Uniti d’America che ne opprimono politicamente, economicamente e militarmente le legittime aspirazioni ad una sovranità nazionale derisa, calpestata ed umiliata da oltre sessant’anni dagli invasori a stelle e strisce ‘sbarcati’ in Sicilia nell’estate del 1943…

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

DIRETTORE RESPONSABILE AGENZIA DI STAMPA “ISLAM ITALIA”

Note –

1 – si veda nostri articoli “Ombre occulte e regia giudaica dietro il caso Moro” e “Moro:il caso non è chiuso” pubblicati rispettivamente sui numeri 93 e 95 del mensile “Avanguardia” del Settembre e Novembre 1993;

2 – Lapo Elkann oltre alla ‘fama’ di ‘sciupa-trans’ ‘guadagnatasi’ a livello interplanetario la nottata dell’11 ottobre 2005 quando venne ‘salvato’ per un pelo da una notte ‘brava’ consumata tra micidiali cocktail di stupefacenti, alcool e sodomizzazioni è anche figlio di Margherita Agnelli e del giornalista Alain Elkann, fratello di John Elkann, attuale vice-presidente del gruppo Fiat, e di Ginevra Elkann, nonché nipote prediletto di Gianni Agnelli, Lapo Elkann nasce a New York nel 1977. Ha vissuto in Brasile, ha studiato a Parigi e si è laureato all’ European Business School di Londra. Prima di diventare responsabile del Brand Promotion Fiat ha fatto esperienze in Piaggio, Salomon Smith Barney, Danone, Maserati e Ferrari. Nel 2001 è stato assistente personale di Henry Kissinger. Entrato in Fiat Lapo Elkann si è accreditato per aver rilanciato l’immagine del gruppo quando invece il suo apporto si è limitato a gadget di diverso tipo, prime fra tutte le felpe con il marchio vintage della casa automobilistica. Si è inoltre attribuito un ruolo rilevante nel lancio della Fiat Grande Punto e nella progettazione della nuova Fiat 500.

Il fratello John che porta il secondo fiammante nome ebraico di Jacob (New York, 1º aprile 1976) è un imprenditore e dirigente d’azienda statunitense naturalizzato italiano, presidente di Exor, azionista e vice presidente della FIAT, figlio del giornalista italo-statunitense Alain Elkann e di Margherita Agnelli, a sua volta figlia di Gianni Agnelli. Ha iniziato la sua carriera professionale nel 2001 presso la General Electric come membro del Corporate Audit Staff con incarichi in Asia, Stati Uniti e in Europa. Nel 2003 è entrato all’IFIL e ha lavorato al piano di rilancio del Gruppo Fiat, di cui ha assunto la Vice Presidenza nel 2004 (è stato Consigliere di Fiat Spa dal dicembre 1997) dopo la morte dello zio Umberto Agnelli. È vicepresidente della Giovanni Agnelli e C. S.A.p.A. (Presidente Gianluigi Gabetti). È presidente dell’Editrice La Stampa e di Itedi, membro del Consiglio di Amministrazione di RCS MediaGroup e di Banca Leonardo; è inoltre vice presidente dell’Italian Aspen Institute, della fondazione Italia-Cina e della fondazione Giovanni Agnelli. Nel maggio 2008, per decisione unanime dei Soci e del Consiglio di Amministrazione, viene eletto Presidente dell’IFIL che raggruppata con IFI è stata rinominata Exor.

3 – si consultino i libri : “Ergastolo per la libertà – Verso la verità sulla strategia della tensione” – ediz. “Arnaud” , Firenze 1989; “La strategia del depistaggio” – ediz. del Fenicottero 1993; “Camerati addio” – ediz. di “Avanguardia” , Trapani 2000;

4 – Sergio Flamigni – “La tela del ragno – Il delitto Moro” – ediz. “Kaos” , Roma 2003;

5 – (a cura di Pietro Calderoni) – “Servizi segreti” – ediz. “Tullio Pironti” – Napoli 1986;

6 – Ibidem;

7 – Sulla funzionalità dell’URSS e del capitalismo di stato marxista-sovietico nel quadro delle relazioni internazionali si veda l’ottimo saggio dell’ebreo Charles Levinson “Vodka-Cola” – ediz. “Vallecchi”, Firenze 1978; ” In particolare, esso documenta:

a) che le principali banche dell’area liberalcapitalista, prime fra tutte quelle targate Morgan e Rockefeller, hanno proprie filiali nei paesi socialcomunisti, e che le banche dell’area socialcomunista hanno anch’esse filiali proprie nei paesi liberalcapitalisti;

b) che i governi del sistema socialcomunista affittano i loro lavoratori, a basso salario e senza diritto di sciopero, alle multinazionali del sistema liberalcapitalista;

c) che l’economia liberalcapitalista sorregge quella socialcomunista con un flusso continuo di credito agevolato.

Un dossier pubblicato dal periodico OP Nuovo nel maggio 1982 ha reso noto inoltre che la Gosbank , cioè la banca centrale sovietica, è una società per azioni, con partecipazione di capitali privati stranieri. Luigi d’Amato, docente universitario e giornalista, scriveva sul “Giornale d’Italia” del 21 giugno 1982: “La storia del grande capitale finanziario è quella di un potere demoniaco; essa gronda sangue”. Questa frase lapidaria condensa molto bene i tre millenni di storia che è necessario prendere in considerazione, qualora si voglia avere una visione chiara, inclusiva di ogni nesso causale, circa l’origine e l’evoluzione del sistema di potere dei manipolatori di capitali. Insegna infatti Giacinto Auriti che la radice originaria del lunghissimo processo storico, che in epoca moderna ha condotto all’avvento tra i popoli dell’usurocrazia mondiale, è situata appunto tre millenni addietro nel tempo; per l’esattezza, al 1250 a .C., momento presunto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto.” ( articolo “Il Grande Parassita” dal sito internet http://www.disinformazione.it )

8 – “La pista del petrolio” di R.T. articolo apparso su “30 Giorni” supplemento del mensile “Il Sabato”, nr. 3, marzo 1992;

9 – ibidem;

10 – Il 7 ottobre 1985 un commando palestinese del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP) di Abu Abbas, mescolatosi tra i passeggeri, bloccò la nave da crociera italiana «Achille Lauro», appena salpata da Alessandria (Egitto). I quattro militanti palestinesi presero in ostaggio 450 passeggeri e l’equipaggio chiedendo in cambio la liberazione di 52 palestinesi detenuti nelle carceri dell’entità criminale sionista alias “stato d’Israele”. Altrimenti, minacciarono, avrebbero fatto saltare la nave. La trattativa si mostrò subito difficilissima. Scese in campo l’Olp di Yasser Arafat, che inviò a Porto Said un dirigente di Al Fatah, Hani al-Hassan, ed anche il capo dell’Fplp Abu Abbas.

La trattativa ebbe una immediata svolta drammatica: l’8 ottobre, a bordo della nave, fu ucciso a sangue freddo un cittadino americano handicappato, Leon Klinghoffer. Il suo corpo fu gettato in mare dal commando. L’omicidio sollevò l’indignazione mondiale e la canea di reazioni dell’opinione pubblica eterodiretta dai media filo-sionisti di mezzo mondo. La resa avvenne il 9 ottobre quando il commando lasciò la nave a bordo di una motovedetta egiziana e il giorno dopo la «Achille Lauro» attraccò a Porto Said. L’11 ottobre un aereo egiziano che stava portando il commando di sequestratori e Abu Abbas in Tunisia venne dirottato da quattro aerei americani e fatto dirigere verso la base Usa di Sigonella, in Sicilia. Il presidente americano dell’epoca Ronald Reagan telefonò all’allora presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi per chiedere l’autorizzazione per l’aereo egiziano di atterrare a Sigonella, autorizzazione che venne accordata.

Craxi però rifiutò di consegnare agli Stati Uniti i sequestratori e i militari italiani della base di Sigonella si opposero alle truppe speciali statunitensi. Probabilmente questo , nella storia delle relazioni bilaterali italo-statunitense, rimane l’unico atto di autentica sovranità e indipendenza nazionali dimostrato da un esecutivo di Roma. Le autorità italiane presero in consegna i dirottatori, mentre l’aereo egiziano con a bordo Abu Abbas si trasferì a Ciampino e successivamente a Fiumicino. I quattro dirottatori furono accusati di omicidio volontario, sequestro e detenzione di ostaggi e trasferiti nel carcere di Siracusa il 12 ottobre. Ma Abu Abbas, considerato dall’Italia un semplice testimone, fu lasciato partire da Fiumicino con un aereo jugoslavo alla volta di Belgrado. Gli Usa, che avevano chiesto di processare i dirottatori, protestarono duramente con il governo italiano. Lo smacco per l’amministrazione Reagan fu enorme e , neanche un decennio più tardi, il leader socialista avrebbe pagato un conto salatissimo per questa sua onorevolissima levata di scudi nei confronti dell'”alleato” americano.

11 – “La crisi energetica del 1973 fu dovuta principalmente ad un’improvvisa e inaspettata interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio dai paesi appartenenti all’Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries) ai Paesi importatori dell’oro nero. In quegli anni infatti la situazione mediorientale era incandescente: i Paesi arabi non avevano ancora riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere. Nell’ottobre del 1973, il giorno dello Yom Kippur (da cui il nome Guerra del Kippur), l’esercito egiziano attaccò Israele da sud, ovvero dalla penisola del Sinai di concerto con quello siriano che attaccò invece da nord, dalle alture del Golan. Israele si trovò in grave difficoltà durante i primi giorni della guerra, ma dopo i primi momenti di smarrimento iniziale, l’esercito israeliano risultò vincente su entrambi i fronti, tanto da minacciare Il Cairo. La guerra finì dopo una ventina di giorni con la proclamazione di un cessate-il-fuoco tra le due parti. Durante i combattimenti Egitto e Siria furono aiutati e supportati dalla quasi totalità dei Paesi arabi e anti-americani, mentre Israele fu appoggiato da Stati Uniti e dei Paesi europei. È per questo motivo – punire l’Occidente per la sua politica filo-israeliana – che i Paesi Arabi appartenenti all’Opec bloccarono le proprie esportazioni di petrolio verso questi paesi.

Questo processo portò all’innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio, che in molti casi aumentò più del triplo rispetto alle tariffe precedenti. I governi dei Paesi dell’Europa Occidentale, i più colpiti dal rincaro del prezzo del petrolio, vararono provvedimenti per diminuire il consumo di petrolio e per evitare gli sprechi. In Italia il governo, presieduto da Mariano Rumor, varò un piano nazionale di “austerity economica” per il risparmio energetico che prevedeva cambiamenti immediati: il divieto di circolare in auto la domenica, la fine anticipata dei programmi televisivi, la riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale. Le cosiddette “domeniche austere”. Insieme a questi provvedimenti con effetti immediati, il governo impostò anche una riforma energetica complessiva con la costruzione, da parte dell’Enel, di centrali nucleari per limitare l’uso del greggio.” (da http://www.wikipedia.it)

Per ulteriori informazioni si consulti di Eric Laurent – “La verità nascosta sul petrolio – Un’inchiesta esplosiva sul ‘sangue del mondo'” ediz. “Nuovi mondi media” – Bologna

12 – “La pista del petrolio” di R.T. articolo apparso su “30 Giorni” supplemento del mensile “Il Sabato”, nr. 3, marzo 1992;

13 – ibidem ;

14 – “Pagano Moretti per il suo silenzio” , intervista di Giovanni Bianconi da “La Stampa” del 31 Gennaio 1993;

15 – “Due appunti del BR Moretti portano al quartiere ebraico di Roma – Ora spunta l’ultima prigione di Moro?” , articolo di Giampaolo Tucci da “L’Unità” del 16 Giugno 1993;

16 – Carmine , detto Mino, Pecorelli , direttore del periodico “OP” venne freddato a colpi di pistola mentre usciva dalla redazione del suo giornale la sera del 20 marzo 1979. Una vera e propria esecuzione a sangue freddo. Il movente dell’omicidio rimane a tutt’oggi sconosciuto anche se riconducibile alla controversa personalità della vittima. “OP – Osservatorio Politico Internazionale” il suo peridico è il punto di riferimento per molti dell’ambiente giornalistico romano, per altri sarà uno strumento legato ai servizi di sicurezza utilizzato per far arrivare ‘messaggi’ scomodi a eminenti personalità della politica e della società italiana. Pecorelli sicuramente è stato collegato ad alcuni corpi dello Stato come riferì il col. Nicola Falde, del SID , e come confermerebbero i suoi legami con Vito Miceli, capo del servizio segreto militare dal 1970 al 1974, e anche – stando ad alcune testimonianze pienamente confermate da due sentenze processuali – con l’allora Gen. Carlo Albeto Dalla Chiesa. “OP” , diventato settimanale dal marzo 1978, anticiperà lo scandalo dei petroli e mostrò di sapere molto in particolar modo sul caso Moro.

17 – “La casa dei misteri” , articolo di Roberto Chiodi da “Il Sabato” del 19 Giugno 1993;

18 – “Buscetta ha fango per tutti” , articolo di Lino Jannuzzi, da “Il Sabato” del 19 Giugno 1993;

19 – “La casa dei misteri” , ibidem;

20 – ibidem;

21 – ibidem;

22 – ibidem;

23 – ibidem;

24 – nostro articolo “Ombre occulte e regia giudaica dietro il caso Moro” – da “Avanguardia” nr 93 – Settembre 1993;